lunedì 16 settembre 2013

«Péra il vil che d’un despota il nome di servir con desio vi rammenta»: l’esperienza politica di Valentino Contri

(articolo apparso su Prima Pagina dell'11 agosto 2013)
 
Appartenente a una «delle più illustri e delle più rinomate famiglie della montagna modenese», Valentino Contri fu senza dubbio – come ha precisato il suo biografo Venceslao Santi – «il soggetto di questa famiglia che fece maggiormente parlare di sé, come quegli che ebbe parte principalissima nel diffondere, attivare e far prevalere nel Modenese le idee e la forma di governo predicate e propagate dalla grande rivoluzione francese».
Della sua vita prima del 1796 – l’anno di inizio della campagna d’Italia di Napoleone – non si conosce però quasi nulla, se non che nacque a Castello di Riolunato il 16 febbraio 1763, che, dopo avere abbracciato la carriera ecclesiastica, fu nominato canonico della collegiata di S. Maria della Pomposa a Modena e che, scelta insolita per un sacerdote, conseguì la laurea dottorale in medicina, precoce sintomo di una «propensione antitradizionalista» che avrebbe presto trovato espressione nell’adesione alle idee rivoluzionarie. Contri infatti subì immediatamente il fascino dei principi dell’89, al punto che – come ricordato da Santi – «prima ancora che fosse abbattuto il governo estense, [egli] non nascose le sue simpatie e le sue aspirazioni per la libertà, l’eguaglianza e la sovranità popolare». Il che trova puntuale conferma nelle parole di un’informazione segreta ordinata dal duca Ercole III poco prima che il Bonaparte entrasse trionfalmente a Milano, secondo la quale il Contri doveva ritenersi «inclinat[o] al giacobinismo».
Abile propagandista, nei mesi che precedettero la cacciata degli Este il sacerdote frignanese fu assiduo frequentatore, se non addirittura fondatore, di un club di dissidenti che si riuniva segretamente nottetempo in una camera dell’ospedale e dove «si facevano discorsi riguardanti la distruzione del governo monarchico e la formazione di una repubblica». Il 29 agosto del 1796 i membri del club organizzarono anche un’insurrezione, che tuttavia fallì per la dura reazione delle truppe fedeli al duca. Era però ormai evidente che il successo finale della rivoluzione non poteva più essere messo in discussione, come del resto aveva ben capito lo stesso Ercole III, il quale, allarmato dall’avanzata di Napoleone, aveva abbandonato Modena – lasciandovi un Consiglio di Reggenza – sin dal 7 maggio e si era affrettato a concludere un armistizio col generale corso. Esso imponeva tuttavia durissime condizioni, in particolare il versamento nelle casse francesi dell’imponente somma di 7,5 milioni di franchi; e quando fu chiaro che Ercole III non avrebbe mantenuto fede agli accordi, il Bonaparte non esitò a denunciare l’armistizio (4 ottobre) e a prendere «sotto la protezione dell’Armata Francese li Popoli di Modena, e di Reggio», dichiarando «nemico della Francia qualsivoglia attentasse alla proprietà, ed ai diritti di questi Popoli». Quattro giorni dopo la Reggenza fu soppressa: al suo posto fu insediata una municipalità repubblicana, mentre l’esecutivo, sotto l’egida della Repubblica Francese, fu affidato ad un Comitato di Governo di sette membri. Tra il 16 e il 18 ottobre circa cento deputati in rappresentanza di Modena, Reggio, Ferrara e Bologna deliberarono, per volontà di Napoleone, la fondazione della Confederazione Cispadana: iniziava così il cosiddetto triennio rivoluzionario.
Con la soppressione della Reggenza venne meno, per Contri e gli altri “clubisti”, l’obbligo della clandestinità. Essi pertanto – si legge nel racconto del Santi – «si costituirono in società, sotto il nome di Accademia di pubblica istruzione democratica»: presidente fu eletto, il 23 ottobre 1796, il canonico frignanese, che tenne un enfatico discorso inaugurale «inneggiante alle libertà conquistate ed al fermo proposito di difenderle anche col sangue contro ogni attentato». Pur nella brevità dell’esperienza – il Bonaparte, dopo averle inizialmente incoraggiate, volle presto sopprimere le società di pubblica istruzione, incompatibili con i suoi progetti autoritari –, l’attività dell’Accademia fu senza dubbio meritoria e significativa. Alle riunioni era infatti consentito a chiunque di intervenire, essendo lo scopo della società «ristretto a propagare i lumi […] e ad eccitare i sentimenti degni di un virtuoso repubblicano». Sentimenti che un inno composto su commissione dell’Accademia e dedicato alla «gioventù italiana dell’uno e dell’altro sesso» racchiudeva in pochi patriottici versi: «Péra il vil che d’un despota il nome / di servir con desio vi rammenta: / trucidate chi perfido tenta / ricondurci de’ ceppi all’orror. / Padre in figlio non trovi pietade, / se nemico alla patria si sveli. / Accorrete, imbrandite le spade, / Libertade v’appella a pugnar».
In questo clima di fervore rivoluzionario, il Contri fu uno dei protagonisti della vita politica modenese, al punto che fu scelto, insieme con Giovanni Bertolani, per rendere omaggio di persona a Napoleone in visita nell’ex capitale estense (8 maggio 1797). Eletto deputato di Modena al secondo Congresso cispadano, egli fece mozione per decretare «l’illimitata libertà di stampa», ma la proposta fu aggiornata per l’opposizione dei delegati bolognesi. In seguito entrò a far parte del comitato (due membri per provincia) incaricato di elaborare la costituzione della nuova repubblica, prodigandosi – scrive Carlo Capra – per favorire la «difesa delle soluzioni più democratiche contro l’accanita opposizione moderata». Tra le sue proposte spiccavano in particolare quella di istituire un dipartimento separato per l’Appennino modenese, sua terra natale, e quella di consentire l’eleggibilità degli ecclesiastici ai pubblici uffici. Tuttavia, prosegue Capra, «la sconfitta registrata su entrambi i fronti rese impossibile la prosecuzione della sua carriera politica», col risultato che da allora il Contri «concentrò le sue energie nell’impresa giornalistica da lui avviata all’indomani del rivolgimento del 6 ottobre, e alla quale è soprattutto legata la sua fama».
Il patriota frignanese, infatti, fu il direttore, nonché il principale compilatore, del Giornale repubblicano di pubblica istruzione – di fatto emanazione dell’Accademia –, probabilmente «uno dei migliori periodici italiani del triennio». Caratteristica fondamentale del foglio, rileva sempre Capra, era «la preoccupazione per la condizione delle campagne, l’insistenza sulla necessità di misure atte ad alleviare la miseria dei contadini». Entro la cornice politica della Repubblica Cispadana, il Giornale criticò sempre aspramente il comportamento delle autorità moderate, provocando sovente interventi repressivi da parte delle stesse e suscitando avversione nei confronti del direttore. Il quale, specie dopo l’emanazione di provvedimenti restrittivi della libertà di stampa in coincidenza con il passaggio alla Cisalpina, fu di fatto costretto a moderare i toni del suo periodico.
Nel frattempo, a partire dal gennaio del 1798 Contri fu sempre più assorbito dalle incombenze amministrative, che nella Cisalpina non erano più precluse agli ecclesiastici. Entrò infatti a far parte sia della commissione sorta allo scopo di organizzare la guardia nazionale di Modena – del cui Consiglio di sanità fu eletto membro in quanto medico –, sia dell’amministrazione centrale del dipartimento del Panaro. Quest’ultimo ufficio, ha notato il Santi, «quanto onorifico, altrettanto delicato e gravoso, […] determinò il Contri a rinunciare la compilazione del giornale a Gregorio Agnini e Luigi Tirelli». Ma il foglio repubblicano, che aveva accentuato l’opposizione contro gli indirizzi moderati ormai consolidati nella Cisalpina, fu soppresso nel maggio del 1798.
Il clima politico non più propriamente rivoluzionario non impedì, ad ogni modo, al Contri di intensificare il proprio impegno pubblico. Sempre nel maggio del 1798 il patriota frignanese sostituì per breve tempo il professor Michele Rosa nell’insegnamento universitario di medicina (o forse, come si legge nella biografia del Santi, fu solo proposto come sostituto, ma rifiutò); in dicembre fu poi nominato ispettore straordinario di polizia in Garfagnana, regione “infestata” da dissidenti sin dal 1796.
Rifugiatosi in Maremma (travestito da pastore) durante il periodo della reggenza imperiale, con la riscossa napoleonica di Marengo (giugno 1800) poté rientrare a Modena, trovandovi tuttavia una situazione profondamente mutata rispetto al triennio rivoluzionario. Fatto segno di attacchi per il passato “giacobino”, Contri fu costretto a ritrattare alcune sue vecchie posizioni, dichiarando pubblicamente piena sottomissione «alla Chiesa, ed al di Lei Capo visibile». Membro della municipalità di Modena nel 1801 e nel 1802, si distaccò progressivamente dalla vita pubblica per adempiere il suo ministero sacerdotale, finché nel 1818 non si trasferì a Palagano, dove aveva rilevato i beni di un soppresso convento di suore francescane. In quella stessa località appenninica Contri morì l’11 aprile 1826, a causa di un colpo apoplettico. «La sua morte improvvisa – scrive Capra – [...], la sua qualità di proprietario di beni confiscati alla Chiesa e i suoi non dimenticati trascorsi giacobini contribuirono ad alimentare fosche leggende che si tramandarono a lungo nei suoi luoghi d’origine, Castello e Riolunato».

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