lunedì 23 settembre 2013

Francesco II, l'Estense che avrebbe fatto volentieri a meno della politica

(articolo apparso su Prima Pagina del 22 settembre 2013)

La morte prematura di Alfonso IV d'Este sopraggiunse quando Francesco, legittimo erede del duca, aveva solo due anni. Era il 1662, e a Modena serpeggiava un crescente malcontento a causa della critica situazione finanziaria, conseguenza in gran parte dell'intraprendente e forse troppo ambiziosa politica estera di Francesco I.
Data la giovane età, il futuro Francesco II non poté inizialmente farsi carico del governo dello Stato estense: fu sua madre, Laura Martinozzi, ad assumere la reggenza, coadiuvata in particolare da due fratelli di Francesco I (il cardinal Rinaldo e il principe Cesare), dai ministri Graziani e Gatti e dall'influentissimo padre Garimberti, suo confessore. Ribattezzata rapidamente «duchessa padrona» per via del carattere autoritario, la Martinozzi affrontò con risolutezza i problemi economici che attanagliavano il ducato, improntando il governo su basi di rigida austerità.
L'intransigenza, spesso al limite del bigottismo, di cui la reggente dette prova nell'imporre una rigorosa moralizzazione dei costumi non poté ovviamente esprimersi in politica estera, dal momento che le ridotte dimensioni del ducato estense imponevano di adottare una strategia di prudente neutralità – seppure inevitabilmente sbilanciata verso la Francia dal tempo della pace dei Pirenei – rispetto ai contrasti tra le grandi potenze. Tuttavia, quando nel 1673 Luigi XIV, con l'intento di insediare nella corte di Londra una principessa cattolica, propose il matrimonio tra la giovane Maria Beatrice, sorella di Francesco II, e l'erede al trono inglese Giacomo Stuart, la Martinozzi intuì chiaramente che l'alleato francese premeva per una decisa scelta di campo. E siccome non era pensabile opporsi al Re Sole, alla duchessa non restò che acconsentire all'unione e partire alla volta di Londra al seguito della figlia quindicenne.
L'assenza da Modena della reggente si protrasse per sei mesi, durante i quali Francesco II fu sapientemente avvicinato da alcuni uomini di corte che mal sopportavano l'austero governo della Martinozzi. Tra essi, il più caparbio fu Cesare Ignazio, appartenente ad un ramo cadetto della casa d'Este, il quale non ebbe difficoltà ad irretire il futuro duca, convincendolo della necessità di sottrarsi alla tutela materna. Fu così, dunque, che al suo ritorno da Londra, la duchessa, condotta in duomo per assistere al canto di un solenne Te Deum, notò qualcosa di insolito: sormontati da due grossi padiglioni a ombrello, i troni suo e del figlio erano disposti in modo tale da far apparire quello di Francesco in posizione dominante.
Salito al trono, questi nominò immediatamente Cesare Ignazio «generale in capo e direttore di tutte le rendite camerali»: il che equivaleva di fatto a sostituire la reggenza della madre con quella, indiretta, del cugino. Come ha infatti notato Riccardo Rimondi, «il duca [...] non solo era giovanissimo, ma anche dotato di un carattere poco incline alla politica, perciò non gli dispiacque per nulla delegare ad altri quelle noiose cure».
Francesco, che scelse di trascorrere molti mesi all'anno nel lussuoso palazzo di Sassuolo, lasciò subito intendere che non avrebbe proseguito la rigorosa politica della madre. Dalle critiche parole del Muratori apprendiamo che sin dai primi anni del suo governo «cominciarono ad essere frequenti i divertimenti delle Commedie, delle Opere e de gli Oratori in Musica», per non parlare delle «corse de i Cavalli, le Quintanate, le corse all'Anello, le Caccie, le Feste da ballo, le Mascherate e Slittate di Carnovale».
A destare scandalo nelle corti europee era però principalmente l'ingombrante figura di Cesare Ignazio, giudicato, soprattutto da Luigi XIV – che lo reputava responsabile di un certo raffreddamento dei rapporti franco-estensi –, uno scaltro opportunista. In realtà, la necessità da parte del ducato estense di intavolare trattative per nuove alleanze non era un'invenzione frutto dei capricci del generale in capo di Francesco II: a parte il mancato appoggio francese alla concessione della porpora cardinalizia a Rinaldo (ultimo figlio di Francesco I), fu la questione di Guastalla a compromettere drasticamente i rapporti tra Modena e Parigi. Nel 1678 il duca di Guastalla Ferrante III Gonzaga era morto senza eredi, aprendo una crisi di successione che vide direttamente coinvolti gli Este, dal momento che moglie di Ferrante era Margherita, sorella di Francesco I. Anche in quella circostanza, tuttavia, venne meno l'indispensabile sostegno francese, col risultato che Guastalla fu incamerata dallo Stato mantovano, che in tal modo si impadronì di un territorio strategico ai confini del ducato estense. Per Modena si trattò di un'amara beffa.
Se però era del tutto evidente che sull'alleanza con Parigi non sarebbe stato più possibile fare assoluto affidamento, nondimeno la corte estense era altrettanto consapevole di non avere la forza per abbandonare la prudente e ormai consolidata politica del compromesso. Tanto più che la situazione economica non era certo delle migliori (si rese addirittura necessario in quegli anni un provvedimento per limitare il diritto d'espatrio, visto l'allarmante incremento dell'emigrazione), la produzione agricola risultava insufficiente e la tutela dell'ordine pubblico era ostacolata da un vertiginoso aumento di furti, rapine e omicidi.
Francesco probabilmente non era la persona più indicata per far fronte a simili condizioni: tuttavia sarebbe un errore prendere a pretesto la sua scarsa predisposizione per la politica per delineare il ritratto di un sovrano inetto, totalmente succube del cugino. Il duca fu infatti un uomo di cultura, che si prodigò per proseguire l'opera di abbellimento della capitale, arricchì le collezioni di opere d'arte, favorì lo sviluppo delle lettere e della musica, riorganizzò la Biblioteca Estense e, soprattutto, elevò lo Studio di Modena (risalente, secondo la tradizione, al 1175) ad Università, approvandone gli statuti con un decreto datato 9 giugno 1685.
Purtroppo per lui, però, queste nobili e lungimiranti iniziative a tutto servirono tranne che a stabilizzare i rapporti con la Francia, alleato sempre più ingombrante e prevaricatore. Re Luigi, infatti, non si limitava più ormai ad imporre le proprie direttive politiche, ma pretendeva addirittura di interferire nelle relazioni diplomatiche, come quando, ha scritto Luciano Chiappini, «fece sapere, in tono sostanzialmente perentorio, di non gradire l'invio da parte modenese di una missione a Madrid intesa a recare le felicitazioni di quella corte per le nozze di Carlo II di Spagna con Maria Luisa d'Orleans».
La rottura con la Francia parve infine inevitabile allorché, nel 1684, Emanuele Filiberto di Savoia Carignano (unico erede del duca Vittorio Amedeo II) sposò Angela Maria Caterina d'Este (sorella di Cesare Ignazio), contro la volontà del Re Sole. Questi, che puntava evidentemente ad intromettersi nella successione, andò su tutte le furie e intimò di sciogliere il matrimonio, minacciando persino di inviare un'armata ad occupare Torino. Le proteste di Parigi non furono ad ogni modo ascoltate – col pretesto che i teologi di casa Savoia avevano dichiarata valida, e pertanto indissolubile, l'unione –, anche se, per rimediare all'offesa arrecata al più potente sovrano d'Europa, Francesco II – al pari di quanto fece precauzionalmente Vittorio Amedeo con gli sposi – dovette cedere alle richieste di allontanamento da corte di Cesare Ignazio, che accettò di ritirarsi a Faenza. Sarebbe rientrato a Modena, accolto a braccia aperte dal duca, appena un anno dopo.
La lite per il matrimonio tra Angela Maria Caterina ed Emanuele Filiberto compromise definitivamente i rapporti tra Modena e Versailles, col risultato che gli Este sarebbero presto entrati nell'orbita asburgica. Nell'immediato, fu la rivoluzione inglese – con la cacciata di Giacomo II Stuart e della moglie Maria Beatrice – a bloccare una revisione formale delle alleanze, dal momento che i vincoli familiari impedivano a Francesco di voltare la spalle all'unica potenza in grado di offrire ospitalità e protezione alla sorella in esilio. Rispetto alle guerre che imperversavano in Europa per contrastare la politica di espansione di Luigi XIV, il duca estense mantenne un atteggiamento di rigorosa neutralità, costringendo per esempio lo zio Rinaldo (che nel 1686 era divenuto cardinale per intercessione degli Stuart) a rifiutare il prestigioso incarico di Protettore di Francia presso la Santa Sede.
Egli tuttavia non poté evitare di accogliere nel ducato alcuni reggimenti asburgici e di versare ingenti contributi all'Impero, di cui era pur sempre feudatario. Infiacchito da una politica sempre più avara di soddisfazioni, infermo e turbato dall'esilio di Maria Beatrice, Francesco morì appena trentaquattrenne il 6 settembre 1694, stroncato da un attacco di gotta. Solo due anni prima aveva sposato Maria Farnese, figlia del duca Ranuccio II, dalla quale non aveva avuto eredi. Per volontà testamentaria dello stesso Francesco la successione fu raccolta dal cardinal Rinaldo.

Appuntamento ogni domenica su Prima Pagina con la rubrica La nostra storia

Nessun commento:

Posta un commento