(articolo apparso su Prima Pagina dell'11 gennaio 2015)
Una cosa è certa: don Primo Mazzolari, interventista,
antifascista, saggista prolifico e sovente in contrasto con la gerarchia
ecclesiastica, non fu un sacerdote qualunque o un semplice «prete da sagre»
paragonabile al protagonista di Casa
d’altri di Silvio D’Arzo. Fu, al contrario, un personaggio costantemente in
tensione con il suo tempo, un uomo d’azione che mai avrebbe derogato ai propri
principi morali, un intellettuale colto, dalle vastissime letture e capace di
mostrarsi profetico in alcune sue lungimiranti previsioni. Normale, pertanto,
che a questa eccezionale e controversa figura siano stati dedicati negli anni
numerosi studi, tra i quali in questa sede si segnala il recente volume
biografico di Bruno Bignami (Don Primo
Mazzolari, parroco d’Italia, EDB 2014), fondamentale per chiunque tenti un
primo, documentato approccio con la vita e le opere del celebre parroco di
Bozzolo.
Primo Mazzolari nasce a Boschetto, nel Cremonese, il 13
gennaio 1890 da Pierluigi, un contadino piccolo affittuario, e Grazia Bolli,
«donna profondamente religiosa, ma non bigotta». Primogenito di cinque figli
(dopo di lui nascono infatti Colombina, Giuseppe, Pierina e Giuseppina),
all’età di dieci anni Primo deve trasferirsi con la famiglia a Verolanuova,
vicino Brescia, per esigenze legate al lavoro del padre. Concluse le
elementari, nel 1902 – sorretto da una precoce vocazione – entra nel seminario
di Cremona, all’epoca caratterizzato da un eccezionale fervore intellettuale grazie
soprattutto all’intraprendenza del vescovo Geremia Bonomelli, che per le sue
posizioni conciliatoriste in merito all’annosa «questione romana» e la
sensibilità rispetto alle più scottanti problematiche sociali è sospettato di
modernismo.
Terminati gli studi, nel 1912 Mazzolari è ordinato
sacerdote, dopodiché viene inviato per qualche mese a Spinadesco e,
successivamente, presso la parrocchia natale di Boschetto. L’anno seguente è
nominato professore di latino al ginnasio del seminario di Cremona, ma già
nell’estate del 1914 accetta di recarsi in Svizzera per seguire gli emigranti
italiani di ritorno dalla Germania in seguito allo scoppio del primo conflitto
mondiale. Di fronte alla possibilità che anche l’Italia entri in guerra, si
mostra sin da subito favorevole: il suo è infatti un
interventismo convinto, che scaturisce dal duplice desiderio di veder trionfare
giustizia e libertà sull’imperialismo austro-tedesco e di consegnare alla
patria le contese «terre irredente». Ma ci sono anche altre ragioni che stanno
alla base delle convinzioni del giovane don Primo: a suo parere – anche se
presto deve ricredersi – la guerra può costituire un momento catartico capace
di spazzare via valori e illusioni che allontanano dal Vangelo. «Forseché una
folata di vento gagliardo non scoperchia più azzurro in un minuto che un’aura
dolce in un intero giorno?», annota significativamente in quei giorni nel
suo diario.
Animato da un forte senso del dovere, nel novembre del
1915 Mazzolari è chiamato alle armi e parte per Genova in qualità di soldato
semplice: nella città ligure, e in seguito a Cremona, è impiegato nei servizi
di sanità militare. Sin da subito – complice anche l’immediata morte in combattimento
del fratello Giuseppe – comprende che la guerra non è altro che una disumana
carneficina; nondimeno, desideroso di condividere le esperienze atroci dei
soldati in prima linea, chiede e ottiene di essere trasferito al fronte. Nel
1918 diviene così cappellano militare dei reparti dell’esercito italiano
inviati in Francia, e il suo servizio si protrarrà fino a buona parte del 1920:
a guerra finita i reparti cui appartiene sono infatti inviati, con compiti di
riorganizzazione, prima nei territori del confine
italiano, poi in Alta Slesia, per garantire il regolare svolgimento del
plebiscito per l’assegnazione della regione (contesa tra Germania e Polonia),
come previsto dai trattati di pace.
Rientrato in Italia, Mazzolari riesce
ad ottenere dal nuovo vescovo Giovanni Cazzani che gli venga assegnato un
incarico pastorale. È così nominato delegato vescovile nella parrocchia della
SS. Trinità a Bozzolo (ottobre 1920) e, poco dopo, parroco a Cicognara,
frazione di Viadana (dicembre 1921): entrambi i paesi sono nel Mantovano, ma
dipendono dalla diocesi di Cremona.
Nella cura d’anime don Primo presta
particolare attenzione alla predicazione – che riesce a rendere accessibile a
tutti attraverso un linguaggio semplice, frutto di profonda riflessione –, diventando
in breve un vero e proprio maestro dell’arte omiletica. A suo parere, la Chiesa
deve andare incontro al popolo e farsi capire penetrando nella vita quotidiana
delle persone. Scrive al riguardo Bruno Bignami: «Mazzolari si accorge che, se
l’incarnazione e la condivisione della vita della gente sono risorse
straordinarie della parrocchia tradizionale, occorre però inventarsi un cambio
di marcia. Si tratta di interpretare il vissuto della propria gente, di fare
della Chiesa una “cosa viva”, di presentare la comunità cristiana come luogo
attraente perché casa di tutti. Da qui alcune proposte pastorali, in ascolto
della gente di Cicognara: le feste del grano e dell’uva, il 1° maggio
cristiano, il 31 dicembre con la sintesi dell’anno trascorso. […] La pastorale
di Mazzolari […] non cala dall’alto un messaggio sopra la testa delle persone,
ma parte dal cuore, dal vissuto quotidiano per elevarlo e trasformarlo con
l’adesione al messaggio evangelico».
Al centro della vita parrocchiale don
Primo pone la questione educativa: la Chiesa deve cioè formare gli uomini,
abituandoli ad ascoltare la coscienza, intesa quale voce di Dio che risuona
all’interno di ogni cuore. Istituisce pertanto una biblioteca parrocchiale,
promuove corsi serali e letture di classici, da Dante al Manzoni. Il suo scopo
è abituare i fedeli a ragionare in libertà, in aperto contrasto con la politica
del fascismo, volta ad irreggimentare una società ritenuta incapace di
camminare con le proprie gambe.
L’avversione al regime da parte di
Mazzolari non può essere, ovviamente, manifesta, ma si esprime attraverso una
pastorale aperta al dialogo con chi sta «fuori» rispetto alla comunità cristiana,
e tramite alcuni gesti dall’alto valore simbolico, come il rifiuto di cantare
il Te Deum dopo il fallito attentato
a Mussolini da parte di Tito Zaniboni (1925) e la decisione di non votare nel
plebiscito del 1929 (che sancisce il trionfo politico del Capo del governo per
via dei Patti Lateranensi). Anche nei confronti della conciliazione Mazzolari
non nasconde le proprie perplessità. «La Chiesa non ebbe mai tanta libertà in
Italia come durante la rottura dei rapporti tra Stato e Chiesa», annota in quei
giorni nel suo diario, mettendo ben a fuoco un problema di fondo: ovvero che il
Concordato è stato concesso dal regime in cambio della pretesa (implicita, ma
chiaramente riconoscibile) di avocare a sé la futura educazione della gioventù.
«Cosa guadagna la Chiesa con questa riconosciuta sovranità o indipendenza
territoriale? Che alla garanzia morale di tutto il mondo viene sostituita la
garanzia di un uomo e di un partito».
Per don Primo, dunque, la Chiesa non
ha bisogno «di privilegi, ma di libertà». Ma la libertà, delle istituzioni come
dei singoli individui, non è negoziabile con il fascismo, che difatti
prontamente reagisce. Mazzolari è più volte “segnalato” dalle autorità per i
suoi discorsi e le sue prese di posizione, fino al giorno in cui riceve un supremo
avvertimento: la notte del 2 agosto 1931 un gruppetto di fascisti esplode
alcuni colpi di pistola contro la finestra della canonica. L’intimidazione è
forte, nondimeno don Primo ha la forza di resistere al ricatto: «Non chiederò
mai a nessuno di rinunciare ai propri principi; ma pretendo che nessuno mi
venga ad imporre tale sacrifizio», scrive al vescovo subito dopo l’accaduto.
Sono gli ultimi giorni di don
Mazzolari a Cicognara. Nell’estate del 1932 è infatti nominato arciprete di
Bozzolo, dove le due parrocchie di SS. Trinità e di San Pietro sono da poco
state unificate. A dispetto di alcuni maligni pettegolezzi – secondo i quali
don Primo sarebbe stato allontanato da Cicognara per punizione, a causa dei
suoi eccessi –, l’incarico nella nuova parrocchia è molto delicato (Bozzolo è al
centro di un territorio frammentato, punto di riferimento di molteplici
località rurali dove è facilmente avvertibile un progressivo distacco dalla
religione), e richiede quindi notevoli capacità. Si aggiunga inoltre che a
Bozzolo Mazzolari è anche vicario foraneo, il che – suggerisce Bignami –
testimonia del fatto che la nomina è senz’altro avvenuta «all’interno di un
clima di fiducia», e rappresenta a tutti gli effetti una “promozione”.
Il nuovo incarico coincide con
l’inizio di una nuova fase nella vita del prete lombardo. Una fase nella quale
don Primo accompagnerà l’azione pastorale con un’intensa attività pubblicistica
e si aprirà al mondo attraverso una sentita partecipazione alla vita politica. (Continua)
Appuntamento ogni fine settimana su Prima Pagina con la rubrica Cose d'altri tempi
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