lunedì 7 aprile 2014

Lodovico Antonio Muratori: la vita del grande letterato vignolese (prima parte)

(articolo apparso su Prima Pagina del 6 aprile 2014)

Lodovico Antonio Muratori nacque a Vignola il 21 ottobre 1672 da Francesco Antonio e Giovanna Altimani, in una famiglia di modeste, ma non misere, condizioni. Come precisa Fabio Marri, il nome corretto era «Lodovico appunto, e non Ludovico come si dice comunemente (prendendo equivoco dalla forma latina Ludovicus con cui sono firmate le grandi pubblicazioni sul Medio Evo)».
Sin da ragazzo, il futuro letterato mostrò spiccate doti d'ingegno e di memoria, oltre che una sconfinata passione per la lettura. Secondo il nipote Gian Francesco Soli Muratori, che ne scrisse la biografia, amava infatti così tanto i libri «fino a portarli seco a mensa». A Vignola, che pur gli stava stretta culturalmente, Muratori compì i primi studi, acquisendo i rudimenti della lingua latina. La ferrea volontà di imparare di cui dovette dar prova in quegli anni contribuì, probabilmente, a diffondere una curiosa leggenda sul periodo della sua formazione. Il piccolo Lodovico avrebbe cioè assistito "clandestinamente" alle lezioni di latino che si tenevano in una scuola di Vignola, standosene acquattato fuori dall'aula poiché non poteva permettersi quel tipo di istruzione. Scoperto, avrebbe – per la sua tenacia, ma anche per l'ottimo livello di preparazione raggiunto nonostante la travagliata "frequenza" del corso – impressionato a tal punto il maestro da convincerlo ad impartirgli gratuitamente l'insegnamento. 
Nel paese natale Muratori rimase fino al 1685, «tre anni in più di quei che occorrevano», durante i quali – precisa Gian Francesco – fu costretto «ad intisichire, per così dire, nello studio dei precetti grammaticali [...] perché il padre suo non si sentiva di mandarlo e mantenerlo in Città». Fu l'intervento provvidenziale di uno zio (il quale si offrì di aiutarlo con le spese) a consentirgli di recarsi infine a Modena per proseguire gli studi presso i gesuiti: studi che, nelle intenzioni paterne, avrebbero dovuto avviare Lodovico alla professione forense.
La vera passione del Muratori erano però i classici, che egli lesse avidamente attingendo alla Biblioteca dei Padri Minori riformati. Lo studio degli autori antichi fu propiziato anche da numerose frequentazioni di giovani letterati, con i quali Lodovico fu messo in contatto dall'avvocato Antonio Vecchi, dei cui figli era nel frattempo divenuto precettore. Precoce fu poi la sua vocazione al sacerdozio, tanto che – sono sempre parole del nipote – a soli 16 anni «ricevette la prima Tonsura da Monsig. Carlo Molza Vescovo di [Modena], il quale nel giorno appresso gli conferì ancora i due primi Ordini Minori e poscia nell'anno seguente gli altri due».
Iscrittosi all'università, nel 1692 Muratori discusse la tesi di filosofia, dopodiché – precisa Furio Diaz – «prese a seguire i corsi di teologia morale e scolastica e di giurisprudenza, [...] cominciando a frequentare letterati, come il marchese Gianni Rangoni, il marchese Giovanni Gioseffo Orsi, Pietro Antonio Bernardoni, ed eruditi, come Benedetto Bacchini e monsignor Anton Francesco Marsigli». Due anni dopo, promosso diacono, conseguì la laurea in utroque iure (ossia in diritto civile e canonico): più che per gli studi giuridici, tuttavia, il giovane manifestò grande interesse per la poesia, di cui indirettamente si occupò in uno dei suoi primi scritti, risalente al 1693, intitolato De Grecae linguae usu et praestantia, (ovvero un dialogo, sul modello di quelli di Cicerone, tra lo stesso Muratori, il Rangoni e l'Orsi sul tema dell'importanza della lingua greca).
Proseguiva nel frattempo il percorso di erudizione ecclesiastica sotto la guida del Bacchini, abate del monastero di San Pietro, il quale avvicinò il Muratori alla scuola bollandista e alla scienza diplomatistica di Jean Mabillon e – scrive Girolamo Imbruglia – «lo mise in contatto con intellettuali italiani e stranieri», svelandogli «il gusto dell'enciclopedismo scientifico». A questa fase di apprendistato risale la convinzione, ereditata da Blaise Pascal, che fosse necessario «combattere i nemici del cristianesimo non sul loro piano – come volevano i gesuiti – ma tornando alla tradizione evangelica della Chiesa primitiva».
Fatto segno di universale ammirazione per la vastità della sua cultura, nel 1695 lo scrittore modenese, raccomandato ai Borromeo dagli amici Orsi e Marsigli, venne chiamato a Milano in qualità di bibliotecario dell'Ambrosiana. Il prestigioso incarico gli consentì di approfondire gli studi sulla prima età cristiana, il che lo portò a condividere la convinzione dei maurini dell'estraneità della superstizione rispetto al cristianesimo. Frutto di questa riflessione furono nel 1698, in particolare, la dissertazione Disquisitio de reliquiis – nella quale il Muratori, precisa sempre Imbruglia, «esitava a ridurre il numero dei martiri, ma deprecava siffatte venerazioni popolari» – e il Commentario sulla corona ferrea, che confutava la tradizione secondo la quale tale corona doveva contenere uno dei chiodi della croce di Cristo.
Nel frattempo divenuto sacerdote, a Milano il giovane bibliotecario – sottolinea Elena Bianchini Braglia – «ebbe modo di esercitarsi nell'arte politica disquisendo [...] con Carlo Borromeo» e «iniziando una fitta corrispondenza con rinomati studiosi italiani e stranieri». A suo parere, per vincere i mali della decadenza, l'Italia avrebbe dovuto guardare tanto alle nuove prospettive europee, quanto alla propria ricchissima storia culturale. Si spiega così, pertanto, il forte interesse per il passato – mai scevro della ferrea volontà di accertare con precisione i fatti attraverso la scrupolosa analisi dei documenti custoditi negli archivi –, di cui furono precoce espressione i primi due volumi degli Anecdota latina (1697-1698), raccolta di testi di età paleocristiana conservati all'Ambrosiana (altri due volumi uscirono nel 1713, intervallati nel 1709 da uno di Anecdota graeca).
Al periodo del suo servizio presso i Borromeo risale infine la frequentazione del poeta Carlo Maria Maggi (l'inventore del personaggio di Meneghino), per il quale Muratori, come ha notato Martino Capucci, «ebbe una vera venerazione, pubblicandone le rime nel 1700, con una Vita che è la prima delle molte biografie da lui composte» (la Vita e l'antologia poetica intendevano appunto celebrare la memoria del Maggi, morto nel 1699).
La fama guadagnata presso i dotti e il prestigio dell'incarico all'Ambrosiana fecero inevitabilmente risultare sgradito al letterato modenese il richiamo da parte di Rinaldo I d'Este, che nel 1700 volle affidargli la biblioteca ducale, anche al fine di raccogliere documenti a sostegno delle sue mire espansionistiche. Nondimeno, Muratori ubbidì al suo "naturale" sovrano e raggiunse Modena, da dove, salvo che per qualche viaggio imposto dalle ricerche archivistiche, non si sarebbe più allontanato. Da suddito fedele, mostrò subito grande lealtà nei confronti della casa d'Este. Come ha scritto Girolamo Imbruglia, «senza divenire un cortigiano, fu l'intellettuale di fiducia del suo principe. [...] Fedeltà al duca significò per Muratori fedeltà all'Impero e partecipazione alla legittimazione e gestione del potere. In questa condizione maturarono il ghibellinismo e il suo sentimento di identità italiana, che ebbe valore culturale e ideologico (o religioso)».
Spulciando antiche carte negli archivi, Muratori riuscì a trovare un interessante collegamento tra la casa d'Este e quella germanica di Brunswick-Hannover (che tra l'altro, di lì a poco, avrebbe cinto la corona d'Inghilterra con Giorgio I), risalendo sino ai tempi di Alberto Azzo II, «due dei cui figli, Folco e Guelfo, erano divenuti rispettivamente signore d'Este, Rovigo ecc. l'uno, duca di Baviera l'altro» (F. Marri). In tal modo veniva soddisfatta la richiesta del duca Rinaldo, il quale, dopo aver sposato nel 1695 la principessa Carlotta Felicita di Brunswick, aveva commissionato la ricerca al fine di rinsaldare il suo legame con la casata della moglie. Lo studio genealogico consentì a Muratori di gettare le basi dell'ambizioso progetto delle Antichità estensi ed italiane – che sarebbero tuttavia uscite in due volumi tra il 1717 e il 1740 – e, al contempo, di instaurare un proficuo rapporto di collaborazione con lo storico ufficiale degli Hannover, il grande filosofo Gottfried Wilhelm Leibniz (incaricato a sua volta di ricostruire le origini della casata tedesca). (Continua)

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