(articolo apparso su Prima Pagina del 6 aprile 2014)
Lodovico Antonio Muratori nacque a Vignola il 21 ottobre
1672 da Francesco Antonio e Giovanna Altimani, in una famiglia di modeste, ma
non misere, condizioni. Come precisa Fabio Marri, il nome corretto era
«Lodovico appunto, e non Ludovico
come si dice comunemente (prendendo equivoco dalla forma latina Ludovicus con cui sono firmate le grandi
pubblicazioni sul Medio Evo)».
Sin da ragazzo, il futuro letterato mostrò spiccate doti
d'ingegno e di memoria, oltre che una sconfinata passione per la lettura.
Secondo il nipote Gian Francesco Soli Muratori, che ne scrisse la biografia,
amava infatti così tanto i libri «fino a portarli seco a mensa». A Vignola, che
pur gli stava stretta culturalmente, Muratori compì i primi studi, acquisendo i
rudimenti della lingua latina. La ferrea volontà di imparare di cui dovette dar
prova in quegli anni contribuì, probabilmente, a diffondere una curiosa
leggenda sul periodo della sua formazione. Il piccolo Lodovico avrebbe cioè
assistito "clandestinamente" alle lezioni di latino che si tenevano
in una scuola di Vignola, standosene acquattato fuori dall'aula poiché non
poteva permettersi quel tipo di istruzione. Scoperto, avrebbe – per la sua
tenacia, ma anche per l'ottimo livello di preparazione raggiunto nonostante la
travagliata "frequenza" del corso – impressionato a tal punto il
maestro da convincerlo ad impartirgli gratuitamente l'insegnamento.
Nel paese natale Muratori rimase fino al 1685, «tre anni
in più di quei che occorrevano», durante i quali – precisa Gian Francesco – fu
costretto «ad intisichire, per così dire, nello studio dei precetti
grammaticali [...] perché il padre suo non si sentiva di mandarlo e mantenerlo
in Città». Fu l'intervento provvidenziale di uno zio (il quale si offrì di
aiutarlo con le spese) a consentirgli di recarsi infine a Modena per proseguire
gli studi presso i gesuiti: studi che, nelle intenzioni paterne, avrebbero
dovuto avviare Lodovico alla professione forense.
La vera passione del Muratori erano però i classici, che
egli lesse avidamente attingendo alla Biblioteca dei Padri Minori riformati. Lo
studio degli autori antichi fu propiziato anche da numerose frequentazioni di
giovani letterati, con i quali Lodovico fu messo in contatto dall'avvocato
Antonio Vecchi, dei cui figli era nel frattempo divenuto precettore. Precoce fu
poi la sua vocazione al sacerdozio, tanto che – sono sempre parole del nipote –
a soli 16 anni «ricevette la prima Tonsura da Monsig. Carlo Molza Vescovo di
[Modena], il quale nel giorno appresso gli conferì ancora i due primi Ordini
Minori e poscia nell'anno seguente gli altri due».
Iscrittosi all'università, nel 1692 Muratori discusse la
tesi di filosofia, dopodiché – precisa Furio Diaz – «prese a seguire i corsi di
teologia morale e scolastica e di giurisprudenza, [...] cominciando a
frequentare letterati, come il marchese Gianni Rangoni, il marchese Giovanni
Gioseffo Orsi, Pietro Antonio Bernardoni, ed eruditi, come Benedetto Bacchini e
monsignor Anton Francesco Marsigli». Due anni dopo, promosso diacono, conseguì
la laurea in utroque iure (ossia in
diritto civile e canonico): più che per gli studi giuridici, tuttavia, il
giovane manifestò grande interesse per la poesia, di cui indirettamente si
occupò in uno dei suoi primi scritti, risalente al 1693, intitolato De Grecae linguae usu et praestantia, (ovvero
un dialogo, sul modello di quelli di Cicerone, tra lo stesso Muratori, il
Rangoni e l'Orsi sul tema dell'importanza della lingua greca).
Proseguiva nel frattempo il percorso di erudizione
ecclesiastica sotto la guida del Bacchini, abate del monastero di San Pietro,
il quale avvicinò il Muratori alla scuola bollandista e alla scienza diplomatistica
di Jean Mabillon e – scrive Girolamo Imbruglia – «lo mise in contatto con
intellettuali italiani e stranieri», svelandogli «il gusto dell'enciclopedismo
scientifico». A questa fase di apprendistato risale la convinzione, ereditata
da Blaise Pascal, che fosse necessario «combattere i nemici del cristianesimo
non sul loro piano – come volevano i gesuiti – ma tornando alla tradizione evangelica
della Chiesa primitiva».
Fatto segno di universale ammirazione per la vastità
della sua cultura, nel 1695 lo scrittore modenese, raccomandato ai Borromeo
dagli amici Orsi e Marsigli, venne chiamato a Milano in qualità di
bibliotecario dell'Ambrosiana. Il prestigioso incarico gli consentì di
approfondire gli studi sulla prima età cristiana, il che lo portò a condividere
la convinzione dei maurini dell'estraneità della superstizione rispetto al
cristianesimo. Frutto di questa riflessione furono nel 1698, in particolare, la
dissertazione Disquisitio de reliquiis
– nella quale il Muratori, precisa sempre Imbruglia, «esitava a ridurre il
numero dei martiri, ma deprecava siffatte venerazioni popolari» – e il Commentario sulla corona ferrea, che
confutava la tradizione secondo la quale tale corona doveva contenere uno dei
chiodi della croce di Cristo.
Nel frattempo divenuto sacerdote, a Milano il giovane
bibliotecario – sottolinea Elena Bianchini Braglia – «ebbe modo di esercitarsi
nell'arte politica disquisendo [...] con Carlo Borromeo» e «iniziando una fitta
corrispondenza con rinomati studiosi italiani e stranieri». A suo parere, per
vincere i mali della decadenza, l'Italia avrebbe dovuto guardare tanto alle
nuove prospettive europee, quanto alla propria ricchissima storia culturale. Si
spiega così, pertanto, il forte interesse per il passato – mai scevro della
ferrea volontà di accertare con precisione i fatti attraverso la scrupolosa
analisi dei documenti custoditi negli archivi –, di cui furono precoce
espressione i primi due volumi degli Anecdota
latina (1697-1698), raccolta di testi di età paleocristiana conservati
all'Ambrosiana (altri due volumi uscirono nel 1713, intervallati nel 1709 da
uno di Anecdota graeca).
Al periodo del suo servizio presso i Borromeo risale
infine la frequentazione del poeta Carlo Maria Maggi (l'inventore del
personaggio di Meneghino), per il quale Muratori, come ha notato Martino
Capucci, «ebbe una vera venerazione, pubblicandone le rime nel 1700, con una Vita che è la prima delle molte
biografie da lui composte» (la Vita e
l'antologia poetica intendevano appunto celebrare la memoria del Maggi, morto
nel 1699).
La fama guadagnata presso i dotti e il prestigio
dell'incarico all'Ambrosiana fecero inevitabilmente risultare sgradito al
letterato modenese il richiamo da parte di Rinaldo I d'Este, che nel 1700 volle
affidargli la biblioteca ducale, anche al fine di raccogliere documenti a
sostegno delle sue mire espansionistiche. Nondimeno, Muratori ubbidì al suo
"naturale" sovrano e raggiunse Modena, da dove, salvo che per qualche
viaggio imposto dalle ricerche archivistiche, non si sarebbe più allontanato.
Da suddito fedele, mostrò subito grande lealtà nei confronti della casa d'Este.
Come ha scritto Girolamo Imbruglia, «senza divenire un cortigiano, fu
l'intellettuale di fiducia del suo principe. [...] Fedeltà al duca significò
per Muratori fedeltà all'Impero e partecipazione alla legittimazione e gestione
del potere. In questa condizione maturarono il ghibellinismo e il suo sentimento
di identità italiana, che ebbe valore culturale e ideologico (o religioso)».
Spulciando antiche carte negli archivi, Muratori riuscì a
trovare un interessante collegamento tra la casa d'Este e quella germanica di
Brunswick-Hannover (che tra l'altro, di lì a poco, avrebbe cinto la corona
d'Inghilterra con Giorgio I), risalendo sino ai tempi di Alberto Azzo II, «due
dei cui figli, Folco e Guelfo, erano divenuti rispettivamente signore d'Este,
Rovigo ecc. l'uno, duca di Baviera l'altro» (F. Marri). In tal modo veniva
soddisfatta la richiesta del duca Rinaldo, il quale, dopo aver sposato nel 1695
la principessa Carlotta Felicita di Brunswick, aveva commissionato la ricerca
al fine di rinsaldare il suo legame con la casata della moglie. Lo studio
genealogico consentì a Muratori di gettare le basi dell'ambizioso progetto
delle Antichità estensi ed italiane –
che sarebbero tuttavia uscite in due volumi tra il 1717 e il 1740 – e, al
contempo, di instaurare un proficuo rapporto di collaborazione con lo storico
ufficiale degli Hannover, il grande filosofo Gottfried Wilhelm Leibniz
(incaricato a sua volta di ricostruire le origini della casata tedesca). (Continua)
Appuntamento ogni domenica su Prima Pagina con la rubrica La nostra storia
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