giovedì 20 febbraio 2014

I cattolici italiani nel primo Novecento

(articolo apparso su Prima Pagina del 16 febbraio 2014)

Il clima di tensione conseguente alla rivolta popolare per il caroviveri (1898) e all'assassinio di Umberto I (1900) vide profondamente coinvolto il movimento cattolico, all'interno del quale alcuni esponenti assunsero posizioni nettamente antigovernative. «Siete schifosi!», era giunto a scrivere don Davide Albertario sull'«Osservatore cattolico» all'indomani delle cannonate di Bava Beccaris, puntando il dito contro il generale che aveva dato «piombo ai miseri» senza comprendere che la protesta era stata provocata dalla fame e dalla miseria insostenibili.
Il presidente del Consiglio Antonio di Rudinì, dopo che fu sedata la rivolta nel paese, rivolse le sue attenzioni ai cattolici intransigenti, ritenuti colpevoli di aver fomentato la protesta attraverso una continua propaganda sovversiva. In realtà, come rileva Giorgio Candeloro, «la paura dissennata, che in quel momento pervadeva i gruppi dominanti italiani, contribuì non poco a determinare una sopravvalutazione del pericolo clericale. Ma a spingere le autorità a provvedimenti repressivi contro i clericali contribuì probabilmente anche il desiderio di trovare un diversivo per tentare di distrarre l'attenzione della parte più democratica, ed anticlericale, della borghesia dalle persecuzioni contro i socialisti. Coinvolgendo i clericali nella persecuzione il governo poteva sperare per un momento di far apparire quelle agitazioni come risultato di un tenebroso complotto, ordito dai nemici dell'unità nazionale, per rovesciare lo Stato unitario nato dal Risorgimento».
L'episodio più eclatante fu l'arresto e la condanna a tre anni di reclusione di don Albertario, logica conseguenza del giro di vite nei confronti della stampa che aveva portato alla soppressione dell'«Osservatore cattolico» di Milano e, poco dopo, dell'«Unità cattolica» di Firenze. Seguì lo scioglimento di tutte le associazioni dipendenti dall'Opera dei congressi, per un totale di 4 comitati regionali, 70 comitati diocesani, 2.500 comitati parrocchiali, 5 circoli universitari e 3.000 associazioni cattoliche di vario genere. Il risultato fu che il movimento cattolico organizzato dovette fare chiarezza al suo interno, e assumere in sostanza un atteggiamento più costruttivo e responsabile nei confronti dello Stato e del governo italiano.
«La persecuzione anticattolica dei liberali – rileva a questo proposito Alfredo Canavero – non si era sviluppata alla cieca, ma secondo un ben preciso disegno, volto a scompaginare l'ala sociale dell'intransigentismo cattolico e a costringere l'ala conservatrice a rientrare nei ranghi dello Stato liberale». La conseguenza fu che «l'unità dell'intransigentismo […] si ruppe, separando l'ala conservatrice da quella sociale, i vecchi dai giovani». Se da un lato infatti alcuni dirigenti dell'Opera dei congressi reagirono alle violenze invocando un ritorno ai passati metodi autoritari di governo, dall'altro venne intrapreso un lento cammino in direzione delle classi deboli, con l'obiettivo di avvicinare la Chiesa ai problemi più urgenti della società. La strada da seguire era quella che, negli ultimi decenni dell'Ottocento, aveva portato alla nascita di società di mutuo soccorso, cooperative, casse rurali, giornali e scuole. Tanto più che i cattolici cosiddetti «giovani», che non avevano vissuto le vicende della presa di Roma e che pertanto consideravano lo Stato italiano una realtà di fatto, si segnalarono all'alba del nuovo secolo per una sempre più decisa volontà d'azione. Essi furono in qualche modo incoraggiati da Leone XIII, che nell'enciclica Graves de communi, pur negandole valore politico, giunse addirittura ad approvare la «democrazia cristiana», una nuova tendenza politica che mirava a conciliare la dottrina cattolica con l'impegno sociale.
La tolleranza di Leone XIII, unita alla stima che egli nutrì nei confronti di don Romolo Murri, leader del movimento democratico-cristiano, non venne però condivisa dal successore Pio X, salito al soglio pontificio nell'agosto del 1903. Attraverso il motu proprio del 18 dicembre di quello stesso anno, il nuovo papa precisò infatti che «la Democrazia Cristiana ha obbligo strettissimo di dipendere dall'Autorità Ecclesiastica» e condannò l'azione sociale di quei cattolici che agivano senza tener conto delle direttive della Santa Sede. Nel 1904, temendo che si schierasse completamente dalla parte dei «giovani», egli sciolse infine l'Opera dei Congressi, sostituendola successivamente con tre organizzazioni distinte, tutte poste sotto il rigido controllo dell'autorità ecclesiastica: l'Unione popolare, l'Unione economico sociale e l'Unione elettorale. Romolo Murri, che respinse le direttive del pontefice, fu sospeso a divinis nel 1907 con l'accusa di modernismo; due anni dopo, a causa dell'elezione a deputato, fu scomunicato.
La condanna del sacerdote marchigiano non intralciò peraltro lo sviluppo del movimento cattolico, che penetrò con sempre maggiore efficienza nel tessuto sociale. Si affermarono in quegli anni, specialmente nel nord Italia, numerose leghe bianche, in grado di contrastare le organizzazioni socialiste sul terreno dell'assistenza alle classi più deboli. Dal punto di vista numerico le associazioni cattoliche, tra leghe operaie e contadine, cooperative, società di mutuo soccorso e casse rurali, arrivarono a contare circa 400.000 aderenti. Al contempo, per carisma e capacità si segnalarono alcune personalità di grande valore. Nel sud della penisola, in Sicilia, il movimento contadino cattolico poté contare sulla determinazione di don Luigi Sturzo, che fu tra i primi a richiamare l'attenzione sulle condizioni del Mezzogiorno; nel Cremonese si distinse Guido Miglioli, abile organizzatore di leghe bianche; a Milano dalle pagine dell'«Osservatore cattolico» Filippo Meda si mise in evidenza per la tenacia con la quale tentava di smuovere l'immobilismo dei «vecchi». E pure a livello politico, nonostante la prudenza e i timori della Santa Sede, i cattolici andavano guadagnandosi un peso consistente.
Questo aspetto non sfuggì a Giovanni Giolitti, che intravide la possibilità di sfruttare il movimento cattolico in chiave antisocialista. Lo statista piemontese, pur non illudendosi di risolvere l'intricata «questione romana», aveva in mente una società nella quale – come scrisse Giovanni Spadolini – «i cattolici cominciavano a sentirsi cittadini» e «i cittadini potevano riavvicinarsi al cattolicesimo». Di fronte a una classe politica che nei primi anni del secolo tendeva a sbilanciarsi a sinistra, un'attenuazione del non expedit in funzione di un accordo clerico-moderato parve una buona soluzione. Per le elezioni del 1904 Pio X accettò in parte il compromesso: suggerendo di comportarsi secondo coscienza, consentì che venissero presentate candidature dichiaratamente cattoliche e determinò così un afflusso di voti cattolici in quei collegi in cui occorreva sconfiggere candidati anticlericali. Successivamente, nell'enciclica Il fermo proposito formalizzò il principio secondo cui nei «casi particolari» era possibile dispensare dal non expedit: sarebbero stati i vescovi a richiedere alla Santa Sede una deroga per i collegi più delicati.
Alle successive elezioni del 1909 l'alleanza clerico-moderata era, quindi, ormai collaudata. I cattolici, ottenuta caso per caso l'autorizzazione dei vescovi, appoggiarono quei candidati che si impegnarono pubblicamente a combattere proposte di legge incompatibili con i principi cristiani. Come nel 1904, furono presentate candidature cattoliche, che portarono all'elezione di 28 deputati. Questi ultimi erano peraltro da considerarsi, come precisò la Santa Sede, «cattolici deputati», non «deputati cattolici». Significava – ha notato Maria Serena Piretti – che «l'elettorato cattolico doveva […] essere portato in campo solo se la sua azione poteva essere dispiegata in forza di un contratto con le file dei moderato-conservatori, l'unico gruppo politico che dava solide garanzie contro il lento scivolare delle maggioranze parlamentari verso sinistra».
L'intesa tra liberali e cattolici venne consacrata in vista delle elezioni del 1913, le prime che si tennero con il suffragio pressoché universale maschile. L'allargamento dell'elettorato a circa otto milioni di cittadini destò non poche preoccupazioni nella classe dirigente moderata, che temeva una clamorosa affermazione dei socialisti. Siccome nel 1909 alcuni vescovi con scarsa esperienza politica avevano concesso con superficialità la sospensione del non expedit in favore di candidati liberali, l'Unione elettorale – allo scopo di fare chiarezza – emanò una circolare contenente sette punti che i candidati desiderosi di accaparrarsi il voto cattolico avrebbero dovuto rispettare. Il cosiddetto «eptalogo» prevedeva: la difesa dello Statuto e delle norme che garantivano la libertà di coscienza e di associazione; la tutela dell'insegnamento privato; il favore all'insegnamento religioso nella scuola elementare; l'opposizione al divorzio; il riconoscimento del diritto delle organizzazioni cattoliche di essere rappresentate negli organismi dello Stato; l'approvazione di una riforma tributaria che rispettasse i principi di giustizia sociale; il sostegno nei confronti di una politica tesa ad aumentare l'influenza italiana nel mondo. L'accordo che così venne definito prese il nome di «Patto Gentiloni», dal nome del presidente dell'Unione elettorale. Nel complesso risultarono 258 i candidati eletti con il sostegno dei cattolici. Fu una prova di forza innegabile, anche se – come ha osservato Gabriele De Rosa – «l'introduzione del suffragio universale sollevava il problema di un'organizzazione politica unitaria dei cattolici». Per non disperdere le preferenze, per evitare che il voto cattolico fosse «prostituito» – come aveva rimarcato don Sturzo in occasione delle elezioni del 1904 – in favore dei conservatori, si fece strada l'idea di costituire un partito autonomo. Il principale sostenitore del progetto fu il sacerdote siciliano, che tuttavia dovette attendere la conclusione della Grande Guerra per vedere realizzati i propri progetti politici.

Appuntamento ogni domenica su Prima Pagina con la rubrica La nostra storia
 

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