domenica 3 novembre 2013

Inquisizione: argomento per soli libri neri?

(articolo apparso su Prima Pagina del 3 novembre 2013)

Introduzione di Luigi Malavasi Pignatti Morano

 

L'interpretazione storica implica sempre e inevitabilmente un giudizio morale. Anche solo nella scelta di ciò che merita di essere raccontato lo storico, di fatto, esprime una valutazione sul passato, poiché in quel momento stabilisce cosa è bene tramandare e cosa può, al contrario, essere trascurato.
La storia dell'Inquisizione – e con essa intendiamo qui la cosiddetta Congregazione del Sant'Uffizio, istituita da Paolo III nel 1542 nel quadro generale della Controriforma – costituisce al riguardo un argomento decisamente delicato, rispetto al quale è facile cedere alla tentazione di accettare giudizi sbrigativi. Va detto, a livello preliminare, che l'annientamento del concetto di individualità perpetrato dai tribunali dell'Inquisizione non può, oggi come oggi, trovare alcuna indulgenza in sede di indagine storiografica. Lo stesso Giovanni Paolo II, riferendosi al caso di Galileo Galilei, lo riconobbe nel 1979, ammettendo che il grande scienziato italiano «ebbe, purtroppo, molto a soffrire da parte di uomini e organismi della Chiesa». E in quel «purtroppo» è racchiuso il trapasso di un'epoca.
Tuttavia, il rischio che si corre è quello di elevare l'Inquisizione di ieri a pretesto per attaccare la Chiesa di oggi. Come se tra Cinque e Seicento l'intolleranza fosse prerogativa dei soli preti. È evidente, ma è utile sottolinearlo, che un'operazione di questo tipo è profondamente scorretta. E lo è essenzialmente per due ragioni. Da un lato, infatti, sarebbe come chiedere conto al Partito Democratico dei crimini commessi da Togliatti negli anni Trenta: anche un bambino obietterebbe che i contesti storici sono differenti e non comparabili, anche se sarebbe piuttosto semplice tracciare una linea che colleghi il PCI a tutti i partiti della sinistra sorti dopo il 1991. Dall'altro, è poco serio, quando si esprime un giudizio, utilizzare solo ciò che fa comodo e consente di supportare teorie preconfezionate. Ridurre la Chiesa all'Inquisizione significa infatti banalizzare un percorso lungo duemila anni. Quale altra istituzione del mondo occidentale può vantare una storia che anche solo si avvicini alla metà di quella della Chiesa? Se prendiamo in esame, come esempio di longevità, la Roma repubblicana (509 a. C. - 31 a. C.), avrebbe senso bollare come negativa quell'esperienza in quanto espressione di una società schiavistica? Certo che no.
Volgendo lo sguardo al presente, un'operazione analoga è portata avanti da certa opinione pubblica a proposito della pedofilia. Stando a giornali e televisioni, oggi non solo sembra che tutti i pedofili siano preti, ma anche – il che è sconcertante – che i reati di pedofilia siano più gravi se commessi da preti. Come se un disturbo psichico, perché di questo si tratta, prendesse di mira preferibilmente una categoria di persone, magari scegliendola tra quelle più indegne sotto il profilo morale.
L'inquisizione, senza dubbio, non è una pagina della propria storia di cui la Chiesa possa andare fiera. Ma occorre studiarla con il dovuto distacco, senza scorgere dietro ogni abito talare un potenziale Torquemada. Se si chiedesse ad una persona mediamente istruita di spiegare attraverso un'immagine cosa sia stato il Sant'Uffizio, questa con buone probabilità descriverebbe lugubri sotterranei e monaci cupi avvolti nei loro sai intenti ad ascoltare le confessioni estorte con la tortura a poveri disgraziati. Forse è ora di aggiornarsi.

      

L'accusa di Walter Frazzoli

 

«L'Inquisizione appartiene alla stessa famiglia dei totalitarismi»

 

Per diversi motivi – tra i quali si segnala la forte diffusione di botteghe artigiane – che non è possibile qui analizzare neppure sinteticamente, va detto che Modena fu senz'altro, in particolare nel XVI e XVII secolo, tra le città che determinarono la pesante e talvolta sanguinosa reazione dell'Inquisizione, tanto locale quanto romana. Non è dunque per caso che uno dei maggiori esperti di questo tema, Massimo Firpo, abbia dedicato alla nostra città moltissime pagine. Ma – volendo cercarne semplificando una definizione – cosa fu in estrema sintesi l'Inquisizione? Per farlo ricorro ad alcune sobrie righe – ancora a mio giudizio tra le più efficaci – tratte da un datato testo di storia locale. In esso si legge, nelle Conclusioni, che «a Modena l'Inquisizione ha stroncato ogni insorgenza di pensiero alternativo in campo religioso. E quando si parla di pensiero religioso a quell'epoca, significa in gran parte parlare di pensiero tout court». Perfetto.
Tutto questo però, in termini moderni, si chiama Totalitarismo. E per citare i più vicini, Nazifascismo e Comunismo: il Pensiero Unico, insomma. Una riflessione sull'Integralismo musulmano porterebbe troppo lontano.
Certo il termine non può essere utilizzato automaticamente per un periodo storico tanto diverso. Si aggiunga poi che l'Inquisizione ha fatto, per minor popolazione e tecnologia, di gran lunga meno vittime dei due predetti regimi. Ma sul piano ideologico essa appartiene alla stessa famiglia. Appunto per questo condannando a morte chi non si uniformava. Orbene, io credo che chi volesse oggi considerare la condanna dell'Inquisizione un fatto acquisito, liquidandola cioè una volta per tutte, commetterebbe un grave errore. Si tratterebbe nei fatti di una rimozione: al contrario, bisogna incarcerarla nella gabbia della nostra memoria, affinché di lì possa ammonirci sulle tragedie a cui porta sempre e comunque l'Intolleranza.
E che nella nostra città la memoria scarseggi, è del tutto evidente. A parte gli studi di Albano Biondi e, più recenti, quelli di Giuseppe Trenti e di Matteo Al Kalak, non si ricorda un solo convegno dedicato al cardinal Morone, emblematico, a Modena come a Roma, del fenomeno Inquisizione. Viene da pensare, in ambiente ecclesiastico, ad un certo imbarazzo per una personalità che fu incarcerata per aver anticipato il dialogo con i Luterani. Con i quali la Chiesa di Roma ha peraltro raggiunto – sin dal 1999 – un'importante intesa su tesi teologiche che furono proprie del vescovo geminiano.
Si potrebbe obiettare che, in fondo, il Morone non fu condannato. Vero, ma soltanto perché Paolo IV, papa Carafa, ebbe a morire poco prima del verdetto finale. Il giudizio di colpevolezza non giunse dunque nell'estate del 1559 ma neppure dieci anni dopo, quando il processo contro il Morone fu riaperto da Pio V, papa Ghislieri. Che, longa manus del Carafa da sempre, volle provarci da titolare una volta salito al sacro soglio.
Quanto invece all'amministrazione locale, è notorio che, quanto a Totalitarismi, la sua attenzione non si spinge, si può dire da sempre, oltre a quelli del secolo scorso.

 

 

La difesa di Gianni Braglia

 

«Anche il nostro mondo vuole imporre un unico sistema di valori»

 

L'Inquisizione continua ad affascinare i contemporanei. Ad essa vengono generalmente associati concetti come intolleranza e fanatismo; immagini di torture efferate e roghi impietosi. Continua ad emanare un'atmosfera di mistero e ad attirare un'attenzione a volte morbosa.
Fino a qualche anno fa gli studi in materia facevano immancabilmente riferimento alla cosiddetta "leggenda nera", ovvero a quell'idea, creata ed utilizzata prima da ambienti protestanti poi dai circoli illuministi con finalità anti-cattoliche, che conferisce all'Inquisizione il carattere di istituzione illiberale e repressiva per antonomasia.
Solo negli ultimi decenni gli storici hanno cominciato a interessarsi dell'argomento con esclusivo spirito scientifico e di ricerca abbandonando i secolari pregiudizi e luoghi comuni. E i risultati sono stati sorprendenti. Non più un'istituzione creata per terrorizzare e colpire in maniera indiscriminata. Non più inquisitori luciferini che danno libero sfogo al loro sadismo e alle loro perversioni. Non più processi sommari, giudizi arbitrari, torture generalizzate e condanne assicurate. Secondo questi autori il Sacro Tribunale era sì un'istituzione dura, ma la durezza che dimostrava non era certo superiore a quella dei tribunali laici. Anzi l'inquisitore offriva più garanzie di obiettività e di professionalità. Vigeva un legalismo esasperato. Ogni passo, ogni azione dell'inquisitore era regolata da norme precise e inderogabili. La passionalità e l'arbitrio erano banditi. L'unica finalità era la ricerca della verità, la quale non di rado si rivelava favorevole all'imputato.
La tortura poi era utilizzata con molta parsimonia, solo come ultima ratio in indagini dove, in presenza di forti indizi, mancava la prova definitiva. Ed era una tortura regolata da precise leggi che ne stabilivano qualità e quantità, per impedire che il torturato potesse soffrire danni permanenti. In effetti, dai documenti, si rivela una tortura tutt'altro che insopportabile, e sono numerosissimi gli esempi di imputati scagionati perché usciti vittoriosi dal confronto con la corda.
L'Inquisizione uccideva la libertà di pensiero e di espressione. Quest'accusa ci sembra inconfutabile. Tuttavia siamo autorizzati a criticare come se il nostro mondo fosse immune da simili pratiche, anche se più dissimulate e quindi, alla fine, maggiormente ipocrite? Anche oggi è in atto un tentativo di imporre un'unica mentalità, un unico sistema di valori, un indifferenziato stile di vita, una omologazione universale.
«Nessuna epoca è stata tanto prospera né, in linea di principio, libera come la nostra – scrive Alain-Gérard Slama – nessuna è stata così conformista. Mai i diritti dell'uomo sono stati così ampiamente riconosciuti. Mai tuttavia, neppure al tempo in cui vigeva l'Ordine morale, lo spirito e i costumi sono stati soggetti ad una pressione così costante… Mai l'apparato tecnico di propaganda e sorveglianza è stato, se non più costrittivo, quantomeno più subdolo… Né mai il potere si è trovato di fronte un'opinione pubblica più inafferrabile, più flaccida. La virtù dell'indignazione sembra essere evaporata insieme alla capacità di scegliere. Il gregge potrebbe essere maggiormente asservito. Ma non potrebbe essere più gregge di così».

Appuntamento ogni domenica su Prima Pagina con la rubrica La nostra storia

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