martedì 29 ottobre 2013

La rivoluzione storiografica delle «Annales» nella riflessione di Fernand Braudel

(articolo apparso su Prima Pagina del 27 ottobre 2013)

La storiografia tradizionale e i suoi critici

Per secoli la storia è stata scritta essenzialmente come narrazione di grandi eventi coinvolgenti grandi uomini. Principali, se non unici, interessi dell'«Antico Regime storiografico» – come l'ha definito Peter Burke – erano gli avvenimenti politici, le guerre, i trattati di pace e le imprese individuali dei cosiddetti protagonisti. Non interessava più di tanto quella che gli illuministi definirono la «storia della società», una storia attenta ai processi economici, ai costumi e ai rapporti tra le classi e gli individui. Una storia che, dalla seconda metà del XVIII secolo in poi, faticò, e non poco, ad emergere, respinta tanto dalla forza della tradizione, quanto dall'autorevolezza di studiosi quali Leopold von Ranke, la cui determinazione nel difendere il primato delle fonti archivistiche finì per relegare in un angolo i sogni di cambiamento figli dell'età dei Lumi.
Nel corso dell'Ottocento non mancarono peraltro alcune importanti voci fuori dal coro. Jules Michelet maturò una visione totalizzante della storia – la quale doveva abbracciare l'arte, la religione, la filosofia e le scienze, senza trascurare le fondamenta della società –, mentre Jacob Burckhardt lesse nel divenire storico un'interazione di tre forze (Stato, religione e cultura). Più in generale, il primato della storia politica fu contestato dagli economisti e in particolare da Marx, la cui concezione strutturale della società mal si conciliava con la storiografia tradizionale.
Il numero di dissenzienti aumentò decisamente tra la fine del XIX secolo e i primi anni del Novecento. Meritano di essere citati almeno tre nomi: Karl Lamprecht, storico della Germania imperiale, che criticò la storia politica in quanto storia di individui, schierandosi a favore di una storia economica, culturale e di popolo; Frederick Jackson Turner, autore di un celebre studio sul significato della frontiera nella storia americana (un argomento, pertanto, non prettamente politico); François Simiand, che propose di abbattere tre idoli della storiografia tradizionale, ovvero quello politico, individuale e cronologico.
Fu in questo clima di fermento culturale che maturarono Marc Bloch e Lucien Febvre, fondatori, nel 1929, della rivista «Annales d'historire économique et sociale» e animatori della scuola che da essa prese il nome.

La scuola delle «Annales» e Fernand Braudel

Il progetto di ricerca delle «Annales» si fonda su un'aspra polemica contro la cosiddetta storia evenemenziale, contro la tendenza diffusa a prestare attenzione quasi esclusivamente ai grandi eventi politici. Compito dello storico deve essere invece quello di ricostruire un'epoca attraverso l'analisi delle profonde strutture dalla società, allo scopo – afferma Fernand Braudel – di «estrapolare i particolari [...] e cogliere tutto ciò che è vita». Gli avvenimenti sono quindi da considerarsi una parte e non un tutto, «una categoria della storia», un insieme di aspetti tutto sommato marginali rispetto al lungo divenire storico.
La storia è essenzialmente storia degli uomini. «Dietro i tratti concreti del paesaggio – ha scritto Bloch –, dietro gli scritti che sembrano più freddi e le istituzioni in apparenza più distaccate da coloro che le hanno fondate, sono gli uomini che la storia vuole afferrare. Colui che non si spinge fin qui, non sarà mai altro, nel migliore dei casi, che un manovale dell'erudizione. Il bravo storico, invece, somiglia all'orco della fiaba. Egli sa che là dove fiuta carne umana, là è la sua preda».
Per raggiungere il suo obiettivo, la storia deve assumere un atteggiamento imperialista nei confronti delle altre scienze umane, saccheggiarne il campo, indagare nel profondo della natura e del comportamento umano per far emergere le strutture secolari della civiltà. In questa prospettiva sono da inserire, da un lato, l'elevazione al rango di documento storico di tutti gli elementi – trascurati in passato – concernenti la vita degli uomini (coltivazioni, urbanistica, strumenti di lavoro, ecc.), dall'altro, il rifiuto di ricorrere a una netta causalità per spiegare i processi storici, a favore di una più ampia causalità attenta al contesto.
In questo quadro generale, il contributo di Braudel è essenziale in quanto elabora una nuova concezione del tempo storico, ben esemplificata dalla tripartizione del suo capolavoro, La Méditerranée. Il libro è diviso in tre parti: «La prima tratta una storia quasi immobile, quella dell'uomo nei suoi rapporti con l'ambiente: una storia di lento svolgimento e di lente trasformazioni, fatta spesso di ritorni inesistenti, di cicli incessantemente ricominciati. [...] Al di sopra di questa storia immobile, una storia lentamente ritmata: [...] una storia sociale, quella dei gruppi e degli aggruppamenti. [...] La terza parte, infine, è quella della storia tradizionale, [...] la storia "événementielle"».
La conquista della cosiddetta longue durée, l'idea cioè che le vicende umane, nel lungo corso del divenire storico, si intreccino con l'ambiente, l'economia, le strutture sociali, la cultura, costituisce il grande contributo di Braudel alla storiografia del Novecento. Dalla sua opera si dipanano e traggono indirettamente ispirazione due filoni, che ebbero grande diffusione negli anni Sessanta e Settanta, in coincidenza con l'affermarsi degli storici della terza generazione delle «Annales»: una storia quantitativa (avente per oggetto, per esempio, i prezzi o la demografia), che lavora su fonti seriali e che vede in Ernest Labrousse il massimo esponente; e una storia della mentalità, che si distingue per l'intento di abbandonare le radici dell'economia in favore della «sovrastruttura» culturale e per la volontà di spostarsi – per dirla con Le Roy Ladurie – «dalla cantina all'attico».
La portata di questa rivoluzione storiografica fu enorme. Dopo di essa, anche gli storici che non vi aderirono formalmente furono inevitabilmente condizionati dai risultati conseguiti dalla scuola delle «Annales» e dal clamore che attorno ad essa si generò.
Un contributo prezioso ai fini della comprensione della grande rivoluzione storiografica del XX secolo è offerto da Storia, misura del mondo, un testo non troppo noto di Braudel che costituisce una sorta di manifesto programmatico delle «Annales»: si tratta di una raccolta di conferenze sul significato della storia tenute dall'autore nel corso della sua prigionia in Germania durante il secondo conflitto mondiale.
Per prima cosa Braudel si sofferma sul concetto di storia evenemenziale. Non ha senso egli afferma – accettare l'importanza di un evento solo in base alla eco che questo produce sul momento. Gli avvenimenti della storia spesso si riducono a poca cosa, non provocano le conseguenze che paiono annunciare: «I fatti segnalati come importanti nel presente – precisa Braudel –, lo sono dunque a titolo provvisorio, con riserva di revisione». È evidente che questa impostazione culturale risenta dello stato in cui lo storico francese si trova al momento della stesura del libro. Egli è infatti rinchiuso in un campo di concentramento, e deve a tutti i costi convincersi che le prodigiose avanzate di Hitler siano solo avvenimenti, nient'altro che piccole tessere del più ampio mosaico della storia con la S maiuscola.
Lo storico non deve limitarsi al racconto. Deve spiegare il mondo, a dispetto di quanti affermano che sia governato dal caso e sia, pertanto, incomprensibile. Se infatti è arduo dominare il caos degli eventi e della storia individuale, non altrettanto può dirsi per l'analisi dei gruppi, per il ripetersi degli avvenimenti, per la storia profonda e la storia sociale. In questo campo, con l'essenziale ausilio delle altre scienze umane, la storia può e deve pretendere di agire razionalmente; può permettersi di «ricollocare i grandi fatti nella giusta prospettiva» e trasformarsi in «una delle grandi spiegazioni del mondo e della vita».
Dalle vicine scienze sociali la storia deve attingere il metodo scientifico. In primo luogo è necessario «pensare che il mondo sociale sia, almeno in parte, coerente, così come ogni scienza fisica presuppone una coerenza del mondo materiale». Occorre cioè scovare gli elementi che ricorrono con costanza nel lungo divenire della storia degli uomini, in modo da poter definire delle ipotesi, suggerire delle spiegazioni, avanzare scientificamente. In una parola, capire il mondo. Per questo, siccome la storia è interpretazione del passato alla luce del presente, «urge che lo storico [...] si spogli di se stesso, eserciti su di sé una sorveglianza continua, indichi esplicitamente la propria posizione. I calcoli dei fisici tengono conto della posizione dell'osservatore in quanto essa condiziona e determina la sua verità. Lo stesso vale per lo storico, per lo studioso di scienze sociali».
Tre concetti, in definitiva, consentono di sintetizzare il pensiero di Braudel: storia profonda, metodo scientifico, spiegazione del mondo e della vita degli uomini.

Appuntamento ogni domenica su Prima Pagina con la rubrica La nostra storia

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