martedì 15 ottobre 2013

Le «Sei lezioni sulla storia» di Edward Hallett Carr

(articolo apparso su Prima Pagina del 13 ottobre 2013)

Alla base delle sei lezioni che Edward Hallett Carr tenne nel 1961 all'Università di Cambridge risiede la ferma convinzione che lo studio del passato assuma inevitabilmente un carattere relativo. Nessuno storico potrà mai avere l'ambizione di raggiungere la meta di una conoscenza assoluta, poiché la sua visione sarà sempre condizionata da uno specifico punto di osservazione radicato nel presente. La storia, in sostanza, al pari delle altre discipline scientifiche, deve attenersi a delle regole. E la prima è proprio la relativizzazione dello storico, che entra a far parte della materia con i suoi giudizi e i suoi valori. Solo tenendo presente questo "limite" (che in realtà costituisce l'autentica ricchezza dell'indagine storiografica, ciò che consente di rinnovare costantemente l'interpretazione del passato), la storia acquista un senso, che non risiede certo nell'utilità pratica – la storia, come la filosofia, concretamente non serve, poiché non è serva di nessuno –, bensì nell'opportunità che essa offre di cogliere con occhi più vigili le molteplici sfumature che contraddistinguono le dinamiche del presente.
 
Lez. 1: Lo storico e i fatti storici
Per prima cosa Carr, proponendosi di rispondere alla domanda «Che cos'è la storia?», critica la concezione empirista facente capo a Leopold von Ranke, secondo la quale è auspicabile un'assoluta separazione tra soggetto (lo storico) e oggetto (i fatti). Questo metodo presuppone, infatti, che la storia consista «in un complesso di fatti accertati», e che questi ultimi siano facilmente accessibili allo storico, «come i pesci sul banco del pescivendolo». La scelta dei fatti è d'altro canto un atto d'interpretazione, che a sua volta impone allo storico di adottare un atteggiamento critico nei confronti delle fonti e dei documenti, tramandati sempre secondo una più o meno inconsapevole finalità.
Anche la posizione dello storico è relativa, profondamente condizionata dal contesto in cui egli vive. La storia consiste «nel guardare il passato con gli occhi del presente, alla luce dei problemi del presente» e «l’attività essenziale dello storico non è di catalogare i fatti, bensì di darne un giudizio; giacché, se non si danno giudizi, come si fa a sapere ciò che val la pena di catalogare?». Pertanto, fermo restando precisa Carr che le interpretazioni non sono tutte legittime, la storia «è un continuo processo di interazione tra lo storico ed i fatti storici, un dialogo senza fine tra il presente ed il passato».

Lez. 2: La società e l'individuo
Il problema della presunta inconciliabilità tra società e individuo occupa una posizione di rilievo nella riflessione di Carr. Secondo lo storico londinese non c'è motivo di considerare antitetici i due concetti, che, al contrario, «sono termini reciprocamente necessari e integrantisi». Lo studioso del passato non può supporre che gli uomini agiscano nel vuoto: deve tenere presente che ogni individuo è profondamente influenzato dalla società e dal contesto in cui vive. Ciò vale anche, e a maggior ragione, per lo storico stesso. «Come tutti gli individui – puntualizza Carr –, egli è anche un fenomeno sociale, il prodotto e, nello stesso tempo, l'interprete più o meno consapevole della società a cui appartiene». Pertanto il modo di fare storia rappresenta un forte indizio per comprendere il carattere di una società.
Un'altra importante conseguenza è che non bisogna considerare i grandi uomini come individui in grado di dominare la società. Essi, al contrario, ne sono figli, sia perché sono elevati al rango di «grandi» dalle moltitudini (senza le quali non si può scrivere la storia), sia perché il loro essere grandi non è assoluto, ma dipende dalle circostanze e, pertanto, dal contesto socio-culturale in cui agiscono.
In conclusione, Carr precisa che «il processo di interazione reciproca tra lo storico e i fatti, [...] è un dialogo non tra individui astrattamente isolati, bensì tra la società odierna e la società di ieri».

Lez. 3: Storia, scienza e giudizi morali
«Gli scienziati, gli studiosi di scienze sociali e gli storici lavorano tutti, in branche diverse, nella stessa direzione: lo studio dell'uomo e dell'ambiente che lo circonda, lo studio dell'azione dell'uomo sull'ambiente e dell'ambiente sull'uomo». Con queste parole Carr conclude la terza lezione, nella quale affronta il problema del metodo scientifico della storia. Senza pretendere di formulare leggi assolute (del resto improponibili per la stessa fisica), lo storico deve porsi l'obiettivo di passare da un'ipotesi parziale a un'altra più completa, attraverso la reciproca relazione che intercorre tra fatti e interpretazione. In tal modo egli si avvicina alla scienza, con cui condivide obiettivi e metodi.
Una tale pretesa incontra alcune obiezioni, che Carr intende confutare:

1.      La storia ha a che fare esclusivamente con l'individuale, la scienza con il generale. Per la storia la generalizzazione è imprescindibile. Questo però non implica che l'indagine storica non sia rigorosa. «La storia studia la relazione che intercorre tra l'individuale e irripetibile e il generale».

2.      Dalla storia non si traggono insegnamenti. Che gli uomini traggano ispirazione dalla storia è provato dall'esperienza. La storia guarda il passato con gli occhi del presente e cerca di comprendere il presente alla luce del passato.

3.      La storia è incapace di fare previsioni. Lo storico non riesce a fare previsioni per i casi individuali e particolari, ma può esprimersi con valide argomentazioni per quanto riguarda il probabile sviluppo nel futuro di fatti generali.

4.      La storia è soggettiva, in quanto l'uomo osserva se stesso. Il punto di vista dello storico condiziona inevitabilmente le osservazioni, così come queste ultime possono influenzare ciò che si osserva. L'importante è essere consapevoli di questo rapporto che unisce saldamente lo storico ai fatti presi in esame. La storia è una scienza relativa.

5.      La storia implica problemi religiosi e morali. Non ha senso supporre l'esistenza di «una forza sovrastorica da cui dipendano il significato e l'importanza della storia», poiché «il ridicolo di questa posizione è dato dal fatto che essa tratta la religione come la matta al gioco delle carte, che va riservata per le situazioni [...] che è impossibile risolvere altrimenti». Per quanto concerne i giudizi morali, essi sono assurdi se riferiti agli individui del passato, ma sono inevitabili per i fatti di grande portata. L'interpretazione, infatti, implica sempre un giudizio morale.
 
Lez. 4: La causalità storica
Studiare la storia equivale a studiarne le cause. Queste non sono mai univoche, bensì molteplici e concatenate tra loro. Compito dello storico è pertanto quello di stabilire, attraverso l'interpretazione, una gerarchia tra i vari «perché».
Il rischio di cadere nel determinismo è, per Carr, un falso problema. «Tutte le azioni umane – infatti – sono ad un tempo libere e determinate, a seconda del punto di vista da cui le guardiamo». D'altro canto, è opportuno ridimensionare pure il ruolo del caso nella storia. Le incognite, gli elementi accidentali possono meritare una certa attenzione, ma lo storico, nel tentativo di dare spiegazioni, deve operare una scelta sulla base della rilevanza e dell'importanza dei fatti, con l'obiettivo di perseguire un determinato scopo. «Le cause accidentali – precisa Carr – non possono essere generalizzate, e, dal momento che sono letteralmente irripetibili, non forniscono alcun insegnamento e non portano a nessuna conclusione».

Lez. 5: La storia come progresso
Carr afferma di credere nel progresso. Esso non va confuso con l'evoluzione (che interessa la biologia), non deve essere inteso come un processo avente un inizio, una fine e una linearità temporale, ed è da considerarsi essenzialmente come un termine astratto (in quanto i fini concreti perseguiti dall’umanità nascono di volta in volta nel corso della storia). «La storia – suggerisce l'autore – è progresso in quanto le capacità acquisite da una generazione vengono trasmesse ad un'altra».
La fiducia dello storico nel progresso influenza il suo modo di agire, condiziona il criterio con cui si analizzano le cause e si avanzano le ipotesi. Le interpretazioni del passato si evolvono infatti proprio perché si presuppone che l'obiettività (intesa non in senso assoluto, bensì come la scelta – sempre più accurata – del giusto criterio con cui valutare l'importanza dei fatti) faccia continui passi avanti; che maturi e, pertanto, progredisca.

Lez. 6: Verso più ampi orizzonti
L'ultima lezione vuole essere un bilancio e, allo stesso tempo, una riflessione sul futuro della storia e della civiltà occidentale. Carr scrive in un momento di forti cambiamenti, che egli stesso inquadra in una duplice prospettiva. Da un lato egli afferma l'uomo sta maturando sempre più la consapevolezza delle potenzialità della ragione come strumento di comprensione di se stesso e dell'ambiente circostante; dall'altro il mondo è nel pieno di una profonda trasformazione, che sta sovvertendo equilibri territoriali, economici e politici in piedi da secoli. Nonostante le contraddizioni, l'estensione del potere della ragione è da intendersi come indice di progresso. La tendenza diffusa nella storiografia occidentale a negare un senso alla storia (dovuta a un estremo, quanto inutile, tentativo di esorcizzare la paura di una marginalizzazione della civiltà occidentale) rischia pertanto di far perdere «il senso profondo che il mondo è in perpetuo divenire». Anche in un'epoca di tumulti Carr invita a compiere lo sforzo dell'ottimismo: cambieranno le prospettive, ma la storia, di certo, non finirà.

Appuntamento ogni domenica su Prima Pagina con la rubrica La nostra storia

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