lunedì 8 luglio 2013

Raimondo Montecuccoli, perché un gigante del passato è caduto nell'oblio

(articolo apparso su Prima Pagina del 23 giugno 2013)

A proposito di Raimondo Montecuccoli, nel 1988 il grande storico Raimondo Luraghi scrisse che «la semplice enunciazione dei suoi titoli e delle sue funzioni storiche basta per evocare dalle ombre del passato una personalità enorme; un gigante del pensiero e dell'azione come ben pochi altri; un uomo la cui vita sfida le vicende fantastiche e gloriose di quella di Napoleone I». Al momento della morte, sopraggiunta il 16 ottobre 1680, il condottiero originario del Frignano era infatti «principe del Sacro Romano Impero germanico, luogotenente generale e feldmaresciallo degli eserciti imperiali, presidente del supremo consiglio aulico di guerra, consigliere segreto dell'imperatore, gran maestro dell'artiglieria e fortificazioni, camerlengo e cavaliere del Toson d'Oro, governatore dell'Ungheria, signore di Hohenegg, Osterburg, Gleis e Haindorf». Ma soprattutto, al di là dei titoli e delle prestigiose onorificenze, Montecuccoli era stato l'artefice del capolavoro militare della battaglia di Mogersdorf, presso il fiume Raab, dove il 1° agosto 1664, a capo di 30.000 europei, aveva clamorosamente sconfitto un esercito musulmano tre volte superiore, arrestando la minacciosa avanzata ottomana verso Vienna.
Ebbene, pur potendo vantare un siffatto curriculum, Montecuccoli è oggi un personaggio pressoché sconosciuto, ignorato da molti manuali scolastici e universitari, trascurato persino nella "sua" Modena. La reale portata di questa ingratitudine storiografica è del resto facilmente verificabile. È sufficiente, infatti, consultare il catalogo on line del Servizio Bibliotecario Nazionale per constatare che i risultati della "Ricerca base" della voce "Raimondo Montecuccoli" ammontano a 117 titoli, 9 in meno di quelli ottenuti per la voce "Turenne" (il maresciallo francese avversario del condottiero modenese). Giusto per avere un più significativo termine di paragone, la distanza da Napoleone (6229 titoli) è quasi umiliante. E l'esito è solo in parte condizionato dal fatto di avere confrontato un nome singolo con uno composto: se si ripete l'esperimento utilizzando le voci "Montecuccoli" e "Napoleone Bonaparte", il generale corso resta saldamente in vantaggio 430 a 241.
Come spiegare, dunque, questo disinteresse per la figura di Montecuccoli?
La prima e più convincente motivazione è anche la più ovvia. A parere di Luraghi, a «denigrare la memoria» di Montecuccoli furono i Padri del Risorgimento, dai quali il generale del Frignano era «visto come un italiano che aveva posto il suo ingegno e la sua spada al servizio dello "straniero": e di quale straniero!».
Tuttavia è probabile che a «gettare nell'oblio» la figura di Montecuccoli abbiano contribuito anche altri fattori, riconducibili, più che a collaudati calcoli politici, ad alcune naturali disposizioni dell'animo umano. È per esempio un dato di fatto che lo studio del passato abbia quasi sempre privilegiato gli sconfitti,  soprattutto se coinvolti in episodi tragici. Al riguardo, merita di essere citata un'acuta riflessione dello storico Basil Liddell Hart: «Il balenare di una meteora colpisce l'immaginazione umana con forza ben maggiore di quella prodotta dal remoto splendore di una stella, luce fissa e immutabile nell'alto dei cieli. [...] Allo stesso modo, nella storia, i più grandiosi fallimenti, purché posseggano una nota drammatica nella parabola finale riescono a eclissare il fascino dei successi ininterrotti».
A pensarci bene, d'altra parte, le biografie storiche (e non si dimentichi che è principalmente attraverso di esse che lo studio del passato riesce a trasformarsi in divulgazione) risultano più affascinanti se raccontano le vicende di un Annibale, di un Napoleone, di un Lee – tutti egualmente sconfitti –, piuttosto che quelle di uno Scipione Africano (il generale romano che nel 202 a. C. sconfisse i cartaginesi a Zama), di un Wellington (il vincitore di Waterloo) o di un Grant (comandante degli eserciti dell'Unione durante la guerra civile americana). Lo stesso Lincoln, probabilmente, non avrebbe avuto uguale fama se non fosse stato assassinato. E che dire, passando allo sport, del rapporto tra Dorando Pietri e Johnny Hayes, il primo – sconfitto – divenuto leggenda e il secondo – primo classificato di quella storica maratona ai giochi olimpici di Londra nel 1908 – pressoché dimenticato?
Certo, sarebbe un errore generalizzare. Però innegabilmente le parole di Liddell Hart non sono campate in aria. Come sosteneva Reinhart Koselleck, «essere sconfitti sembra essere una fonte inesauribile di progresso intellettuale». E chissà quindi cosa si scriverebbe oggi di Montecuccoli se la palla di cannone che nel 1675 uccise il Turenne nei pressi di Sassbach avesse invece colpito il generale frignanese!
Potrebbe dunque sembrare assurdo, ma probabilmente la brillante carriera militare di Montecuccoli, mai battuto come comandante dell'esercito imperiale, ha contribuito a renderne meno affascinante l'epopea. E, a proposito di fascino, è bene ricordare che il trionfatore di Mogersdorf, combattendo al servizio degli Asburgo, non sguainò mai la spada per diffondere (o difendere) quegli ideali rivoluzionari che, al contrario, avrebbero favorito – a mo' di «formidabile propellente», come scrisse Luraghi – l'ascesa di un Robespierre o di un Napoleone.
Un ultimo ragionamento sulle disavventure storiografiche del Montecuccoli può comunque estendersi a due ulteriori considerazioni. In primis, occorre sottolineare che nelle celebrazioni storiche i modenesi privilegiano i miti collettivi (come il Risorgimento, la Repubblica e, soprattutto, la Resistenza) rispetto a quelli individuali. L'odonomastica cittadina, per esempio, trascura completamente tutti i duchi estensi. A nessuno di essi è intitolata una via – nemmeno una secondaria –, mentre spicca, proprio di fronte al Palazzo ducale, il monumento a Ciro Menotti, archetipo del patriota che ha avuto l'ardire di sfidare il potere assolutistico. Ma anche in questo caso fu probabilmente la forca di Francesco IV a consacrare nel mito l'immagine di Menotti, la quale, di fatto, rispecchia valori che – pur con evidenti forzature – si prestano facilmente ad essere posti in antitesi rispetto a quelli per i quali combatté Montecuccoli.
La precoce fortuna del socialismo nel Modenese ebbe un ruolo determinante nella diffusione dei miti collettivi a scapito di quelli individuali. Un partito, come il PSI, che annoverava tra le proprie parole d'ordine lo slogan turatiano «Guerra al regno della guerra» difficilmente avrebbe potuto celebrare un militare. A ciò si aggiunga la proverbiale natura diffidente dei modenesi, che Adamo Pedrazzi, archivista del Comune autore di una Cronaca dell'occupazione nazi-fascista di Modena, oltre sessant'anni fa descrisse con poche ma significative parole: «I modenesi sono per loro natura apatici, un pochino diffidenti, poco credono a chi parla troppo per farsi udire, salvo in cuor loro maturare, a lungo andare, un giudizio che è sempre frutto di ponderazione, e, se volete, diciamolo pure, di calcolo. Hanno l'anima sorniona, diranno i più, dalla quale ben difficilmente si cava qualcosa a tutta prima». Un giudizio, questo, che – se preso per buono – aiuterebbe a spiegare come mai a Modena nemmeno il fascismo sia riuscito ad esprimere leader indiscussi,  contrariamente a quanto si verificò con i ras bolognesi Grandi e Arpinati o con il ferrarese Balbo.
Concludendo, rimane spazio per un'ultima riflessione. Montecuccoli visse in un'epoca che la storiografia tradizionale ha a lungo considerato di crisi. Tra le disastrose epidemie di peste e le devastazioni della guerra dei Trent'anni, il Seicento ha infatti subito più o meno la stessa sorte dell'età medievale, vittima di un pregiudizio che ha inteso farne un secolo di transizione tra il Cinquecento della Riforma, di Carlo V e dei nuovi orizzonti geografici e il Settecento dei Lumi e delle grandi rivoluzioni americana e francese. Pertanto, se il Montecuccoli fosse vissuto cent'anni prima o cent'anni dopo, forse le sue imprese avrebbero ricevuto maggiore considerazione sui libri di scuola. Ovviamente si tratta solo di una congettura (e non mancano certo – si pensi al Re Sole – significative "eccezioni"), ma sarebbe un errore ignorare l'eredità storica di quello che Umberto Eco ha definito «un secolo di disordine e di instabilità, di guerre e di rivoluzioni, di assolutismo e di eversione».
Bistrattato dai Padri del Risorgimento, "noiosamente" sempre vincitore, incarnazione di un mito poco "modenese" e per di più vissuto in un'epoca colpita da pregiudizi storiografici, Raimondo Montecuccoli merita oggi un convinto sforzo divulgativo. Almeno due recenti studi (il primo di Berardo Rossi – Raimondo Montecuccoli. Un cittadino dell'Europa del Seicento, Edizioni Digi Graf 2002 – il secondo di Carlo Previdi – Raimondo Montecuccoli. Un eroe di montagna, Edizioni TeI 2013) rispondono all'esigenza di colmare una così poco comprensibile lacuna: agli autori, costretti a districarsi tra l'indifferenza generale per tutto ciò che è passato e la sconcertante iniquità di certi giudizi storici consolidati, è doveroso indirizzare un sincero plauso.


Appuntamento ogni domenica su Prima Pagina con la rubrica La nostra storia

Nessun commento:

Posta un commento