(articolo apparso su Prima Pagina dell'1 giugno 2014)
La prima formulazione di carattere politico del concetto
di Europa spetta a Machiavelli: «Voi sapete –
afferma nell'Arte della guerra – come
degli uomini eccellenti in guerra ne sono stati nominati assai in Europa, pochi
in Africa e meno in Asia. Questo nasce perché queste due ultime parti del mondo
hanno avuto uno principato o due e poche repubbliche; ma l'Europa solamente ha
avuto qualche regno e infinite repubbliche».
Naturalmente, mentre elabora queste righe, lo scrittore
fiorentino non ignora che anche in Europa vanno consolidandosi Stati
monarchici; nondimeno egli è convinto che il vecchio continente sia
caratterizzato da forme politiche uniche, radicalmente differenti rispetto a
quelle diffuse nel resto del mondo. Precisa infatti nel Principe: «E' principati, de' quali si ha memoria, si truovano governati
in dua modi diversi: o per uno principe e tutti li altri servi, e' quali, come
ministri per grazia e concessione sua, aiutano governare quello regno; o per
uno principe e per baroni, li quali, non per grazia del signore, ma per
antiquità di sangue, tengano quel grado».
Nessun accenno alla vecchia idea di christianitas,
quindi. L'Europa di Machiavelli ha un'identità politica ben precisa, che non
dipende dall'epoca storica cui si fa riferimento (e infatti, scrive, così come
il governo di Dario era «simile al regno del Turco», in Occidente gli Stati
erano più frazionati al loro interno, in modo tale da rendere impossibile la
totale sottomissione ad un sovrano sul modello orientale). Riassumendo, precisa
Federico Chabod, possono delinearsi due profili ben distinti: «In Europa
repubblica o monarchia non assoluta, in Asia monarchia assoluta dispotica». Il
tutto senza dimenticare che, quando parla di libertà occidentale contrapposta
alla schiavitù orientale, Machiavelli non intende – come invece accadrà con
Montesquieu e Voltaire – una libertà contro lo Stato, bensì, al
contrario, la possibilità di intervenire nello Stato. Egli ha in mente,
cioè, una libertà attiva (sull'esempio degli antichi), non passiva (come invece
si viene definendo nelle società moderne).
Ciò che conta, però, ai fini del
nostro discorso è che l'autore del Principe ha ormai ben chiara la
differenza politica tra Europa e non-Europa. In questo egli coglie l'eco della
tradizione classica, che già all'epoca delle guerre persiane aveva tracciato un
solco profondo tra libertà delle poleis e dispotismo orientale. Ma va
anche oltre – considerato che vive nel periodo in cui vanno formandosi gli
Stati nazionali –, individuando un'altra fondamentale caratteristica
dell'Europa: l'equilibrio delle potenze. Machiavelli, insieme con Guicciardini,
pensa dapprima all'Italia, con Lorenzo de' Medici ago della bilancia tra gli
Stati della penisola. Ma, dopo di lui, l'idea viene ripresa dalla pubblicistica
d'oltralpe, tant'è che nel XVIII secolo l'equilibrio verrà equiparato ad una
sorta di implicita forma costituzionale europea, mentre Voltaire tesserà
l'elogio della diplomazia come strumento privilegiato per dirimere le
controversie internazionali. Ma in cosa consiste, in pratica, questo
equilibrio? Scrive Chabod: «Molteplicità di Stati in Europa; necessità di tener
in piedi siffatta molteplicità per salvare la "libertà" dell'Europa e
impedire l'avvento di una "monarchia universale", fosse di Carlo V o
Filippo II, fosse di Luigi XIV, che avrebbe significato la fine di quella
libertà; necessità pratica conseguente di un continuo lavorio diplomatico, a
mezzo di una disciplina stabile, ch'era appunto creazione, dopo che italiana,
dell'Europa moderna, cinque e seicentesca: tali i presupposti e le giustificazioni
della dottrina dell'equilibrio».
L'Europa appare dunque come «un corpo
dalle molte anime», la libertà delle quali deve essere preservata – come
rilevano anche i cosiddetti utopisti, che giungono a suggerire di istituire un
organismo permanente sovranazionale incaricato di sopire i dissidi tra le
potenze – proprio per garantire la sopravvivenza di un'entità politica composita,
ma allo stesso tempo percepita come unitaria. L'equilibrio diviene pertanto
l'unica forma possibile di convivenza: anzi, per certi versi, l'equilibrio è
l'Europa, giacché ne definisce l'identità multiforme stabilendo il principio
che la tutela dei diritti del singolo componente sia da intendersi come
garanzia della libertà dell'intero agglomerato sovranazionale.
Vero momento di svolta nel processo
di definizione di un'identità europea è però quello delle grandi scoperte
geografiche. Esse hanno importanti conseguenze economiche (il commercio marittimo
sull'Atlantico, l'afflusso di metalli preziosi, l'ascesa dei prezzi...), ma non
mancano di influenzare profondamente quella che Chabod definisce «vita
spirituale europea». Per gli abitanti del vecchio continente dire America, nel
tardo Cinquecento, equivale a sancire un'inedita superiorità dei moderni nei
confronti degli antichi (dall'Umanesimo considerati maestri indiscussi in ogni
ramo del sapere), con un conseguente sconvolgimento del comune modo di pensare.
Si fa strada, cioè, la rivoluzionaria idea del progresso, che tanto peso avrà
nella concezione filosofica degli illuministi. E, con essa, la necessità di
individuare i valori sui quali si fonda la superiorità dell'Europa, che del
progresso – appunto – diviene l'emblema.
Ancora una volta, come già era
accaduto per gli antichi Greci con gli Orientali, gli europei costruiscono
un'immagine di se stessi per contrasto. La letteratura di viaggio – genere di
enorme successo nel XVI secolo – svolge al riguardo un ruolo fondamentale,
contribuendo a mettere a fuoco le differenze tra Europa e resto del pianeta.
Differenze che – si badi – non sono più essenzialmente religiose, dal momento
che la cristianità ha valicato i confini del vecchio continente (ed è inoltre
stata parecchio indebolita dalla Riforma). Ciò che contraddistingue l'Europa è
oramai la sua indiscussa superiorità tecnica e culturale.
Ma questo non è il solo modo di
vedere le cose. Perché se Europa vuole dire progresso, per altri versi essa
significa anche continue guerre. E non sono pochi gli scrittori che maturano
una polemica insofferenza nei confronti dell'avidità di dominio dei vari Stati
nazionali, tanto da inventare il mito del buon selvaggio (extra-europeo,
s'intende), rimasto estraneo alla corruzione di una politica irrimediabilmente
degenerata. L'idea, che sarà ripresa da Rousseau, ricalca – ma a parti
invertite – la tradizionale dicotomia romano-barbaro: ora sono gli europei a
vestire i panni degli incivili. È l'amore della pace a guidare questi
scrittori, i quali immaginano società perfette che non trovano riscontro nella
realtà (descrivono, cioè, un'utopia, non di rado ispirandosi al modello
medievale del paradiso terrestre), oppure idealizzano quelle esistenti sul
modello della Germania di Tacito. Ma
è fondamentale tenere presente un aspetto: la polemica antieuropea non deriva
dal desiderio di porre fine all'esperienza religiosa, politica e culturale
dell'Europa, essendo vero l'esatto contrario. Se il vecchio continente è sotto
accusa è per sommo amore di un'Europa che si vorrebbe rigenerare, rendere più
saggia e tollerante.
Lo stesso Montaigne, che dell'antieuropeismo è forse
l'esponente più rappresentativo, quando negli Essais tesse l'elogio della genuina spontaneità degli abitanti del
nuovo mondo – rammaricandosi per le «tante città rase al suolo, tante nazioni
sterminate, tanti milioni di uomini passati a fil di spada» –, ha ben chiaro in
mente il progetto di rendere l'Europa più umana, più civile. Il che, a suo
parere, potrebbe avvenire solo a patto di improntare i rapporti con gli altri
popoli su valori di rispetto reciproco. Anche le società dell'America, infatti,
meritano considerazione: esse sono inferiori a quelle europee solo sotto
l'aspetto tecnologico, ma potrebbero benissimo dare lezioni di moralità a molti
governi del vecchio continente. La conseguenza di questo diffuso modo di pensare
è ben inquadrata da Chabod: «Se tiriamo le somme, [...] giungiamo alla
constatazione che, in opposizione al barbaro e selvaggio, viene ampiamente
elaborato il concetto di civiltà. Se manca ancora la parola, o meglio, se essa
parola è ancora usata raramente nel significato odierno, gli elementi che le
infonderanno poi tutto il suo valore sono ormai raccolti». E la civiltà, seppur
bisognosa di correzioni, non può che essere l'Europa. (Continua)
Appuntamento ogni domenica su Prima Pagina con la rubrica La nostra storia
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