giovedì 5 giugno 2014

«Storia dell'idea d'Europa»: un grande classico della storiografia (seconda parte)

(articolo apparso su Prima Pagina dell'1 giugno 2014)

La prima formulazione di carattere politico del concetto di Europa spetta a Machiavelli: «Voi sapete – afferma nell'Arte della guerra – come degli uomini eccellenti in guerra ne sono stati nominati assai in Europa, pochi in Africa e meno in Asia. Questo nasce perché queste due ultime parti del mondo hanno avuto uno principato o due e poche repubbliche; ma l'Europa solamente ha avuto qualche regno e infinite repubbliche».
Naturalmente, mentre elabora queste righe, lo scrittore fiorentino non ignora che anche in Europa vanno consolidandosi Stati monarchici; nondimeno egli è convinto che il vecchio continente sia caratterizzato da forme politiche uniche, radicalmente differenti rispetto a quelle diffuse nel resto del mondo. Precisa infatti nel Principe: «E' principati, de' quali si ha memoria, si truovano governati in dua modi diversi: o per uno principe e tutti li altri servi, e' quali, come ministri per grazia e concessione sua, aiutano governare quello regno; o per uno principe e per baroni, li quali, non per grazia del signore, ma per antiquità di sangue, tengano quel grado».
Nessun accenno alla vecchia idea di christianitas, quindi. L'Europa di Machiavelli ha un'identità politica ben precisa, che non dipende dall'epoca storica cui si fa riferimento (e infatti, scrive, così come il governo di Dario era «simile al regno del Turco», in Occidente gli Stati erano più frazionati al loro interno, in modo tale da rendere impossibile la totale sottomissione ad un sovrano sul modello orientale). Riassumendo, precisa Federico Chabod, possono delinearsi due profili ben distinti: «In Europa repubblica o monarchia non assoluta, in Asia monarchia assoluta dispotica». Il tutto senza dimenticare che, quando parla di libertà occidentale contrapposta alla schiavitù orientale, Machiavelli non intende – come invece accadrà con Montesquieu e Voltaire – una libertà contro lo Stato, bensì, al contrario, la possibilità di intervenire nello Stato. Egli ha in mente, cioè, una libertà attiva (sull'esempio degli antichi), non passiva (come invece si viene definendo nelle società moderne).
Ciò che conta, però, ai fini del nostro discorso è che l'autore del Principe ha ormai ben chiara la differenza politica tra Europa e non-Europa. In questo egli coglie l'eco della tradizione classica, che già all'epoca delle guerre persiane aveva tracciato un solco profondo tra libertà delle poleis e dispotismo orientale. Ma va anche oltre – considerato che vive nel periodo in cui vanno formandosi gli Stati nazionali –, individuando un'altra fondamentale caratteristica dell'Europa: l'equilibrio delle potenze. Machiavelli, insieme con Guicciardini, pensa dapprima all'Italia, con Lorenzo de' Medici ago della bilancia tra gli Stati della penisola. Ma, dopo di lui, l'idea viene ripresa dalla pubblicistica d'oltralpe, tant'è che nel XVIII secolo l'equilibrio verrà equiparato ad una sorta di implicita forma costituzionale europea, mentre Voltaire tesserà l'elogio della diplomazia come strumento privilegiato per dirimere le controversie internazionali. Ma in cosa consiste, in pratica, questo equilibrio? Scrive Chabod: «Molteplicità di Stati in Europa; necessità di tener in piedi siffatta molteplicità per salvare la "libertà" dell'Europa e impedire l'avvento di una "monarchia universale", fosse di Carlo V o Filippo II, fosse di Luigi XIV, che avrebbe significato la fine di quella libertà; necessità pratica conseguente di un continuo lavorio diplomatico, a mezzo di una disciplina stabile, ch'era appunto creazione, dopo che italiana, dell'Europa moderna, cinque e seicentesca: tali i presupposti e le giustificazioni della dottrina dell'equilibrio».
L'Europa appare dunque come «un corpo dalle molte anime», la libertà delle quali deve essere preservata – come rilevano anche i cosiddetti utopisti, che giungono a suggerire di istituire un organismo permanente sovranazionale incaricato di sopire i dissidi tra le potenze – proprio per garantire la sopravvivenza di un'entità politica composita, ma allo stesso tempo percepita come unitaria. L'equilibrio diviene pertanto l'unica forma possibile di convivenza: anzi, per certi versi, l'equilibrio è l'Europa, giacché ne definisce l'identità multiforme stabilendo il principio che la tutela dei diritti del singolo componente sia da intendersi come garanzia della libertà dell'intero agglomerato sovranazionale.
Vero momento di svolta nel processo di definizione di un'identità europea è però quello delle grandi scoperte geografiche. Esse hanno importanti conseguenze economiche (il commercio marittimo sull'Atlantico, l'afflusso di metalli preziosi, l'ascesa dei prezzi...), ma non mancano di influenzare profondamente quella che Chabod definisce «vita spirituale europea». Per gli abitanti del vecchio continente dire America, nel tardo Cinquecento, equivale a sancire un'inedita superiorità dei moderni nei confronti degli antichi (dall'Umanesimo considerati maestri indiscussi in ogni ramo del sapere), con un conseguente sconvolgimento del comune modo di pensare. Si fa strada, cioè, la rivoluzionaria idea del progresso, che tanto peso avrà nella concezione filosofica degli illuministi. E, con essa, la necessità di individuare i valori sui quali si fonda la superiorità dell'Europa, che del progresso – appunto – diviene l'emblema.
Ancora una volta, come già era accaduto per gli antichi Greci con gli Orientali, gli europei costruiscono un'immagine di se stessi per contrasto. La letteratura di viaggio – genere di enorme successo nel XVI secolo – svolge al riguardo un ruolo fondamentale, contribuendo a mettere a fuoco le differenze tra Europa e resto del pianeta. Differenze che – si badi – non sono più essenzialmente religiose, dal momento che la cristianità ha valicato i confini del vecchio continente (ed è inoltre stata parecchio indebolita dalla Riforma). Ciò che contraddistingue l'Europa è oramai la sua indiscussa superiorità tecnica e culturale.
Ma questo non è il solo modo di vedere le cose. Perché se Europa vuole dire progresso, per altri versi essa significa anche continue guerre. E non sono pochi gli scrittori che maturano una polemica insofferenza nei confronti dell'avidità di dominio dei vari Stati nazionali, tanto da inventare il mito del buon selvaggio (extra-europeo, s'intende), rimasto estraneo alla corruzione di una politica irrimediabilmente degenerata. L'idea, che sarà ripresa da Rousseau, ricalca – ma a parti invertite – la tradizionale dicotomia romano-barbaro: ora sono gli europei a vestire i panni degli incivili. È l'amore della pace a guidare questi scrittori, i quali immaginano società perfette che non trovano riscontro nella realtà (descrivono, cioè, un'utopia, non di rado ispirandosi al modello medievale del paradiso terrestre), oppure idealizzano quelle esistenti sul modello della Germania di Tacito. Ma è fondamentale tenere presente un aspetto: la polemica antieuropea non deriva dal desiderio di porre fine all'esperienza religiosa, politica e culturale dell'Europa, essendo vero l'esatto contrario. Se il vecchio continente è sotto accusa è per sommo amore di un'Europa che si vorrebbe rigenerare, rendere più saggia e tollerante.
Lo stesso Montaigne, che dell'antieuropeismo è forse l'esponente più rappresentativo, quando negli Essais tesse l'elogio della genuina spontaneità degli abitanti del nuovo mondo – rammaricandosi per le «tante città rase al suolo, tante nazioni sterminate, tanti milioni di uomini passati a fil di spada» –, ha ben chiaro in mente il progetto di rendere l'Europa più umana, più civile. Il che, a suo parere, potrebbe avvenire solo a patto di improntare i rapporti con gli altri popoli su valori di rispetto reciproco. Anche le società dell'America, infatti, meritano considerazione: esse sono inferiori a quelle europee solo sotto l'aspetto tecnologico, ma potrebbero benissimo dare lezioni di moralità a molti governi del vecchio continente. La conseguenza di questo diffuso modo di pensare è ben inquadrata da Chabod: «Se tiriamo le somme, [...] giungiamo alla constatazione che, in opposizione al barbaro e selvaggio, viene ampiamente elaborato il concetto di civiltà. Se manca ancora la parola, o meglio, se essa parola è ancora usata raramente nel significato odierno, gli elementi che le infonderanno poi tutto il suo valore sono ormai raccolti». E la civiltà, seppur bisognosa di correzioni, non può che essere l'Europa. (Continua)

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