venerdì 9 agosto 2013

Francesco Luigi Ferrari vs don Giuseppe Verri: disputa giornalistica a proposito della figura di Mussolini

(articolo apparso su Prima Pagina del 21 luglio 2013)

Nel novembre del 1922, poche settimane dopo la Marcia su Roma, il settimanale cattolico modenese «Il Popolo» ospitò un vivace confronto tra don Giuseppe Verri e Francesco Luigi Ferrari, assertori di giudizi contrastanti in merito alla valutazione dei primi atti di governo di Mussolini. I due contendenti avevano esperienze politiche molto diverse. Verri – ha scritto Luigi Paganelli – era un prete «di notevole esperienza in campo giovanile, formatosi al tempo della prima democrazia cristiana»; giunto a Modena nell’estate del 1919, tra le altre cose, «come direttore del neonato “Popolo”», guidò il periodico nella convinzione che fosse preferibile privilegiare l’«attività formativa dei cattolici» rispetto a «quella operativa in campo politico e sociale».
Ferrari era invece, in sostanza, il leader dei popolari di sinistra, già presidente della FUCI tra il 1910 e il 1912 e, ovviamente, fermamente contrario alla decisione del direttorio del gruppo parlamentare del PPI di appoggiare il ministero Mussolini.
Il confronto tra i due pareri, uno di approvazione e uno di condanna dell’operato del duce del fascismo, desta particolare interesse soprattutto se si riflette sulla sua precocità rispetto alla successiva evoluzione ultraventennale del movimento mussoliniano. A chi scrive è parso opportuno citare ampi stralci dei due interventi, lasciando al lettore la facoltà di trarre liberamente le proprie conclusioni.
Il primo articolo, di don Verri, si intitola Disciplina? ed è datato 12 novembre 1922.
«[…] In Italia, a Roma, al Governo, sembra che ci sia, e forse c’è finalmente un uomo; un uomo che concepisce lo Stato in forma dinamica, attiva, feconda. Gli impiegati, a migliaia, che sino a ieri vivevano esplicando la vita amorfa in una duplice forma: quella di sedere inutilmente per otto ore a scranna, e quella di elevare compunti sospiri al santo Patrono del 27 del mese; quegli impiegati – dice la cronaca – sono esterrefatti, perché sulla loro noia grigia è piombato un uomo che lavora… sacrilegamente anche alla festa. […] Le lezioni, energiche come frustate, piovono a destra e a manca, che è un piacere. […] Il nome santo di Dio, che dall’Italia ufficiale era bandito, ritorna e ritorna coi dovuti onori. La Messa in Santa Maria degli Angeli, cui intervengono Re, Stato Maggiore e Ministri, intenzionalmente non sarà quella di Francesco d’Assisi, ma non è neppure quella del borioso Re Sole. E il minuto di raccoglimento meditativo davanti al sarcofago del Milite Ignoto, non è scimiottatura [sic] inglese ed americana, ma è rivista di energie interiori che devonsi misurare per scagliarle in proporzione delle molteplici necessità esteriori. Gli amici stessi del Duce […] hanno dovuto convincersi che, dopo avere demolito, egli vuole ricostruire. Ed è qui, più che altrove, che si parrà la sua nobilitade. […] Saranno indizio relativo: ma i titoli di Borsa sono migliorati, e il cambio ha subito un miglioramento consolante. Anche i treni, proverbialmente ritardatari, sembrano accorgersi di una volontà singola ma ferrea, che, interprete sicura di un diffuso desiderio collettivo chiede e vuole: disciplina all’interno, rispetto e dignità all’esterno. […] Gli altri popoli, dai più ai meno evoluti e formati, sembrano avvertire che è finito il tempo in cui l’Italia poteva paragonarsi ad uno scalcinato teatro di varietà. E l’aura frizzante della disciplina nazionale, quella che incomincia, ora, a spirare dall’Alpi alla Sicilia? E sia la ben venuta. Da anni la s’invocava. E se l’uomo che racchiude in sé la potenza necessaria a ciò si chiama anche Mussolini, ogni onesto cittadino non può che approvare. Per conto mio, prego la Provvidenza d’Iddio che gli dia modo di attuare l’arduo programma; e mi auguro vicino il giorno in cui, cadute tutte le logiche riserve che s’innestano colle angolosità polemiche sin qui a buon diritto affilate, mi sia possibile pure benedire alla nostra splendida stirpe che genera, di tanto in tanto, uomini romanamente forti».
La risposta di Ferrari fu affidata ad un articolo di replica dal titolo Rilievi polemici, apparso sul «Popolo» della settimana successiva (19 novembre 1922).
«Caro D. Verri, non ti nascosi i punti nei quali il tuo pensiero dissentiva dal mio allorché mi facesti leggere il tuo articolo “Disciplina”. Ora che l’articolo è stato pubblicato vorrai permettermi di dire pubblicamente il mio giudizio in proposito. Evidentemente gli anni della guerra, le lotte durissime, combattute nella vita pubblica prima e dopo la guerra, non ti hanno tolto quella che è la facoltà caratteristica dei giovani: la facilità all’entusiasmo. […] L’entusiasmo però, se alle volte è suscitatore di “azioni” nobili e belle, mai o quasi mai è buon consigliere allorché ci si accinge a dare un “giudizio”. E, poiché nel tuo articolo “Disciplina” tu dai un giudizio, permettimi di osservarti che nello scriverlo, hai troppo sentito l’influenza di tal cattivo consigliere. Ma non è qui soltanto il mio dissenso. È più intimo e profondo. Non nego che alcuni, molti anzi, dei provvedimenti presi fino ad ora dal Governo presieduto da Mussolini sieno degni del massimo encomio. Dirò di più: ad essi vorrei poter tributare lodi ancora maggiori di quelle da te date. Ma non a questi soltanto dovevi guardare per formulare il tuo giudizio. Dovevi tener presente tutto il complesso dell’azione e del Mussolini e dei suoi seguaci prima, durante e dopo la crisi dell’ottobre se volevi che il tuo giudizio fosse esauriente. È vero che Mussolini […] scuote gli ignavi che popolano i ministeri e gli altri pubblici uffici, non ha timore di assistere e di fare assistere il Re ad una funzione religiosa. È anche vero che proprio in questi giorni sta dando il più fiero colpo alle nostre istituzioni libere […]. È anche vero che oggi, a due settimane dal trionfo di Mussolini, non appare risolto il conflitto fra partito e Stato, ma sembra avvicinarsi il giorno dell’assoluto predominio di quello su questo. Le più delicate ed importanti funzioni dello Stato le vedi infatti venire gradatamente affidate a fascisti fedeli interpreti della volontà del “capo”; gli altri sieno collaboratori sì ma dipendenti. E non mi puoi negare che “il fascismo è Mussolini”. Non ti sei accorto che dopo il 30 ottobre con raddoppiata velocità stiamo correndo verso un “governo personale”? Io, per conto mio, non mi compiaccio di questo, anche se per il momento il governo personale assicura una relativa prosperità, perché esso non assicura e non può assicurare al paese l’avvenire, che solo può essere garantito da liberi ordinamenti il cui rispetto sia religione per ogni cittadino. Il tuo entusiasmo mi pare assomigli a quello dei Francesi ammiranti i primi atti di giustizia e d’energia di Napoleone Bonaparte. Costoro non pensavano all’avvenire paghi del prosperoso presente, e non supponevano certo che da Bonaparte incominciava la decadenza francese che né le grandi vittorie di allora e di ieri poterono e potranno arrestare. Al governo personale sottostanno i popoli nella loro infanzia, si sottomettono nuovamente nella loro decadenza, sperando in essi [sic] quella pace che non riescono più a conseguire coi liberi ordinamenti. Non credo il popolo italiano decrepito tanto da abbisognare del governo di un dittatore, giudico perciò questo governo esiziale al suo avvenire. Non posso quindi compiacermi di tutto ciò che tende alla dittatura e me ne rammarico anche se si presenta sotto l’aspetto il più attraente. Ricordiamoci che “la peggiore delle camere è sempre preferibile alla migliore delle anticamere”. Ricordiamoci che i governi personali presto o tardi si riducono a governi di gruppi irresponsabili. Ricordiamoci che soltanto popoli liberamente retti hanno potuto progredire e che i governi personali, le dittature altro non hanno fatto che sfruttare ed esaurire le energie precedentemente accumulate. Ricordiamoci tutto questo, o egregio amico, e moderiamo, moderiamo molto certi entusiasmi».

Appuntamento ogni domenica su Prima Pagina con la rubrica La nostra storia

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