martedì 28 maggio 2013

Castelnuovo Rangone. Storia di un piccolo borgo divenuto «moderno paese-modello»

(articolo apparso su Prima Pagina del 19 maggio 2013)

Mercoledì 22 maggio, ore 20,30, presso la Sala delle Mura in via Conciliazione è stato presentato il volume Castelnuovo Rangone. Storia di un territorio antico, scritto a quattro mani da due appassionati studiosi di storia locale, Marco Gibellini e Gian Carlo Montanari.
Si tratta di una ricostruzione storica che Montanari definisce «un semplice punto di partenza» utile per inquadrare vicende e protagonisti di un passato indubbiamente affascinante, anche se non sempre facilmente ripercorribile. Il tutto corredato da un ricco e suggestivo apparato fotografico, a cura di Alessandro Mescoli.
Il libro è diviso in due parti. Nella prima – che in questa sede pare logico privilegiare – gli autori si concentrano sulla storia di Castelnuovo e del suo territorio, a partire dai primi abitati preistorici fino ai più recenti avvenimenti del secolo scorso; nella seconda sono invece proposti al lettore alcuni dati di particolare interesse, come l'elenco dei parroci e dei sindaci di Castelnuovo o alcune curiosità inerenti «significato e origine dei nomi di alcuni luoghi» della zona. Il volume si conclude con una rassegna di foto d'epoca (dal 1903 al 1952), affiancate da «opportune didascalie informative».
«La storia documentata» – si legge nel primo capitolo – inizia ad occuparsi di Castelnuovo nel 1025, precisamente in un atto di donazione redatto dal vescovo modenese Ingone, nel quale si faceva riferimento alla località di Castrum Novum (da porre, evidentemente, in relazione con Castrum Vetus, l'attuale Castelvetro), sulla riva destra del fiume Tiepido. Per quanto concerne, più in generale, l'epoca medievale – purtroppo solo parzialmente accessibile agli storici a causa della frammentarietà delle fonti –, occorre sottolineare che «una sola notizia abbiamo, di fine XII secolo, circa Castelnuovo: riguarda la sua chiesa, che nella Bolla di papa Lucio III del 1181 è detta appartenere al Capitolo di Modena». Seguirono lotte tra potenti famiglie, a partire dai Pico, che, vicari imperiali, «nel XIII secolo diventano padroni del Castello Nuovo», per arrivare agli Este, il cui esponente Obizzo II, «marchese ferrarese chiamato dalle tre famiglie modenesi dei Boschetti, dei Rangoni e dei Guidoni, diventa padrone dei destini del territorio in questione alla fine del 1288».
Tra rivolte (come quella che nel 1306 cacciò provvisoriamente gli Este da Modena) ed episodi singolari (su tutti, l'uccisione nei pressi di Castelnuovo di un legato papale – diretto ad Avignone – ad opera del leggendario "duca" Passerino, cui l'agguato fruttò la bellezza di 200.000 fiorini), passando attraverso la tragica epidemia di peste del 1348, Montanari passa rapidamente in rassegna gli avvenimenti del XIV secolo fino al 1391, quando «il marchese Alberto III d'Este [...] investì del territorio di Castelnuovo Jacopino IV Rangoni [...]. E così nacque Castelnuovo Rangone».
Tra gli eredi di Jacopino sorsero numerose dispute per la spartizione dei feudi nel Modenese: in questa sede basti ricordare che, dopo confuse vicende, «ai primi del XVI secolo sarà Sigismondo, figlio di Uguccione di Aldobrandino II [a sua volta figlio di Jacopino IV], a possedere Castelnuovo», località che, insieme con gli altri feudi dei Rangoni, era stata eretta in contea da Borso d'Este nel 1453.
Il Cinquecento fu un secolo di aspri contrasti. Per quanto concerne Modena, il duca Alfonso I d'Este fu scomunicato da papa Giulio II per non avere obbedito all'ordine di sospendere l'offensiva contro Venezia (nonostante le manovre contro la Serenissima fossero iniziate sotto l'egida della Lega di Cambrai, costituita dal pontefice), e perse provvisoriamente il ducato. In questo contesto, i Rangoni oscillarono «a seconda dei propri calcoli e interessi», finché il celebre Guido detto Piccolo, che fu tra i più tenaci oppositori degli Estensi, non ricevette da papa Leone X l'«ambito titolo di capitano delle truppe pontificie in Alta Italia». Quanto a Castelnuovo, in quegli anni «esso fu certo spesso base di partenza per spedizioni atte a pacificare la montagna rimasta fedele all'espulso duca d'Este».
Col ritorno di Alfonso al governo di Modena in seguito al Sacco di Roma del 1527, i Rangoni ottennero il perdono del duca: alla casa d'Este essi non avrebbero più voltato le spalle. Il che fu un bene, soprattutto perché, con la Devoluzione di Ferrara e il trasferimento della capitale a Modena (1598), conservare buoni rapporti con gli Estensi divenne, di fatto, una necessità.
Saldo nelle mani dei Rangoni (dei quali Montanari riporta precisi alberi genealogici), il feudo comprendente Castelnuovo risentì, nel corso del Seicento, di eventi che ebbero «riverberi non sempre positivi nel ducato». Dalle guerre garfagnine di inizio secolo (che lasciarono il segno sia per il continuo passaggio di truppe nelle terre dei Rangoni, sia per l'arruolamento forzato di molti giovani castelnovesi) alla tragica epidemia di peste del 1630-31 (che decimò la popolazione dell'intero Stato estense), il quadro pare alquanto desolante. Nel 1643 infine, mentre era in corso la guerra di Castro che opponeva Francesco I (insieme con Firenze e Venezia) a papa Urbano VIII, Castelnuovo fu occupata dalle truppe pontificie. Ed anche se il duca estense riuscì in breve a cacciare i soldati del papa, «certo i danni, prima dell'occupazione pontificia e poi delle truppe modenesi e venete [alleate di Francesco], furono pesanti per la povera gente di Castelnuovo».
Gli «anni agitati» non terminarono, ad ogni modo, con questo episodio. Il XVIII secolo si aprì, infatti, con una nuova occupazione militare da parte dei francesi, che nel 1702 piantarono «le tende in tutto il territorio modenese», costringendo il duca Rinaldo – che aveva tentato di mantenersi neutrale nel corso della cosiddetta guerra di successione spagnola – ad abbandonare la capitale estense. Ovviamente, in attesa che Rinaldo recuperasse Modena (1707), «anche [...] il territorio castelnovese ebbe guai» di fronte a truppe «che non si arrestavano davanti a nulla e pareva facessero le prove per le razzie future». Il riferimento è naturalmente alle campagne napoleoniche di fine secolo, che portarono nuovi eserciti a combattere sul suolo italiano. «Castelnuovo Rangone – si legge nella cronaca di Michele Ferrarini – fu pure occupato dai francesi [...], e vi derubarono molte cose specialmente in canonica».
Tra i due estremi temporali di inizio e fine Settecento, Montanari – insieme con le puntuali notizie riguardanti i feudatari di casa Rangoni – precisa inoltre che in quell'epoca alle difficoltà politiche si aggiunsero annate di forte maltempo: come riportano diverse cronache, in più occasioni interi raccolti furono devastati, con conseguente vertiginoso aumento dei prezzi delle derrate alimentari.
La povertà afflisse a lungo il territorio castelnovese, favorendo, specie nel contesto rivoluzionario del primo Ottocento, rivolte ed atti di brigantaggio. Significativa fu, al riguardo, la vicenda che ebbe protagonista il ribelle Giuseppe Muzzarelli («detto Cmein in dialetto e Cimini nella vulgata»), che per sfuggire all'arruolamento decise «di penetrare con altri sodali nell'archivio comunale di Castelnuovo per incendiarlo, allo scopo di ostacolare la compilazione degli elenchi degli obbligati alla leva». Il risultato fu che, con i documenti, andò in fumo buona parte della memoria storica locale.
Terminata la fase rivoluzionaria, ebbe inizio un periodo di forti cambiamenti. Brevemente, è sufficiente ricordare che nel 1815 l'arciduca Francesco IV «abolì il comune e così Castelnuovo, declassato, venne aggregato come sezione a Spilamberto»; in seguito, dopo la cacciata degli Estensi, «con la riforma del dittatore Luigi Carlo Farini verrà riattivato il Comune di Castelnuovo Rangone». Nel 1864 venne inaugurata la nuova chiesa parrocchiale; l'anno seguente «l'amministrazione comunale castelnovese acquistò dalla signora Teresa Ferrarini l'antico palazzo feudale col torrione quadrato e merlato a fianco e lo adattò a sede municipale»; nel 1879 «fu attivato il mercato settimanale», mentre nove anni più tardi, oltre a quella del nuovo campanile, «vi fu l'inaugurazione della ferrovia Modena-Vignola che passava per il paese dei Rangoni».
Si trattava, con tutta evidenza, di indici di progresso e crescita economica, destinati a cambiare il volto di Castelnuovo nel corso del XX secolo. Conclude infatti Montanari che, oltre all'inaugurazione (tra il 1927 e il 1931) della nuova facciata della chiesa parrocchiale e del nuovo Palazzo Comunale, nel secondo dopoguerra il paese dei Rangoni «doveva subire una benefica trasformazione per merito dello spirito imprenditoriale diffuso che a poco a poco lo trasformerà da luogo agricolo e quasi asfittico, nel centro di maggior concentrazione di ricchezza della Provincia e non solo». Protagonista indiscusso di questo rapido processo di crescita è stato senza dubbio il maiale, la cui lavorazione ha di fatto «portato un piccolo borgo nobilitato da un castello che più non esiste ad essere un moderno paese-modello».

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