sabato 25 maggio 2013

Alfonso IV d'Este, il duca «indolente» amante della cultura e delle arti

(articolo apparso su Prima Pagina del 12 maggio 2013)

 «Principe d'amabilissimo aspetto, di esemplare pietà, di rettissima giustiza» – secondo il parere del Muratori –, Alfonso IV divenne duca di Modena alla morte di Francesco I, sopraggiunta il 14 ottobre 1658. Per via del suo temperamento incline «più alla mansuetudine e alla clemenza che al rigore», unito alla giovane età (era nato nel 1634) e alle precarie condizioni di salute, egli non era certo il successore più adatto per proseguire l'energica politica estera del padre, finalizzata al recupero di Ferrara e, più in generale, ad espandere i confini dello Stato estense. «Quanto il padre era stato dinamico, volitivo, ambizioso – ha scritto Luigi Amorth –, altrettanto Alfonso IV era indolente, un po' abulico, tollerante, di quella tolleranza ch'era sinonimo di debolezza».
Nondimeno il nuovo duca non volle venire meno agli impegni militari presi da Francesco I, alleato della Francia durante le fasi conclusive del lungo conflitto con la Spagna, eredità della guerra dei Trent'anni. Lo stesso Mazzarino, del resto, aveva voluto rassicurarlo che la scomparsa del padre non avrebbe rotto l'alleanza con Parigi: «Questa morte – precisò infatti il cardinale – non porterà alcuna alterazione di questa parte in tutto quello che può riguardare la sua Casa». Il che si tradusse nella decisione di Luigi XIV di gratificare l'Estense col titolo di generalissimo delle truppe francesi in Italia.
La condotta filofrancese del duca di Modena rappresentava peraltro la logica prosecuzione della politica di Francesco I, il quale, dopo avere a lungo appoggiato la Spagna – sempre nella vana illusione di poter in futuro rientrare in possesso della capitale dei suoi avi –, nella fase finale del suo regno era stato attratto nell'orbita di Parigi. Della nuova alleanza aveva fatto, per certi versi, da garante proprio lo stesso Alfonso, cui nel 1655 era stata data in sposa la nipote del Mazzarino (Laura Martinozzi), figlia di Margherita (sorella del cardinale) e del conte Girolamo Martinozzi da Fano.
In sostanza, il solco entro cui indirizzare la politica estense era profondo e ben tracciato, tanto più che lo stesso carattere debole del duca non rendeva realistici improvvisi cambi di fronte. Dando perciò prova di lealtà, Alfonso si preparò immediatamente per una nuova campagna militare in continuità con la linea seguita dal padre; tuttavia il Mazzarino lo informò che Francia e Spagna stavano già segretamente trattando per la pace, e lo invitò pertanto ad accordarsi col viceré di Milano. Il duca di Modena obbedì. L'11 marzo 1659 fu firmato un trattato in base al quale – scrive Riccardo Rimondi – «Alfonso rinunciava ai gradi di generalissimo francese e in cambio riceveva la sospirata conferma dell'investitura del principato di Correggio. La Spagna, inoltre, gli riconosceva il diritto di neutralità in quanto principe sovrano, e gli attribuiva i frutti della dogana di Foggia, dovutigli per l'eredità della nonna Isabella di Savoia, con un gettito di 37.000 ducati annui; in cambio furono restituite alla Spagna le città di Valenza e Mortara, occupate da Francesco I». Un articolo della pace dei Pirenei (che poneva fine alla guerra tra Francia e Spagna) confermò infine il trattato, facendo inoltre breve cenno, per la verità con vaghe promesse, alla questione dei beni ferraresi rivendicati dalla casa d'Este.
Il bilancio fu comunque tutto sommato positivo, se non altro per la cessazione delle ostilità dopo anni di sanguinosi combattimenti. Con la pace, il 1660 portò poi nel ducato un clima di euforia per la nascita dell'erede Francesco, dopo che un primo figlio di Alfonso era morto in tenera età. Il duca volle celebrare l'evento con feste e spettacoli, che prevedevano in particolare un grande torneo a cavallo, con musiche e scenografie spettacolari. La piazza del palazzo fu di fatto trasformata in un enorme teatro all'aperto. Secondo la ricostruzione di Rimondi, «il pubblico, ora ammirato ora inorridito, ora estasiato ora spaventato, assistette a una lotta fra vizi e virtù, culminante naturalmente nella vittoria del bene e nel canto finale in lode del neonato principe: "Giri il Ciel d'astri felici, / Dolci lumi e aspetti amici, / Fortunato e trionfante / Rida il Fato al Regio Infante, / Sua virtute e suoi splendori / Riverente il mondo honori"».
L'anno seguente, precisamente il 9 marzo, morì il Mazzarino, che in quanto zio della duchessa di Modena aveva pesantemente influenzato la politica estera di Alfonso. La notizia, per gli Estensi, aveva risvolti negativi, in quanto privava il ducato di un prezioso e potente alleato, ma anche positivi, dal momento che il cardinale lasciò in eredità alla nipote «150.000 scudi in contanti, 40.000 lire francesi in mobili e gioielli, altre 40.000 di rendita annua». Un'autentica boccata d'ossigeno per il ducato, specie dopo che gli anni di guerra avevano prosciugato le casse dello Stato. A ciò si aggiunga che, come il padre, Alfonso spendeva ingenti somme per acquistare opere d'arte (soprattutto dipinti, ma anche avori, cammei e medaglie), destinate ad impreziosire l'insigne Galleria Estense fondata proprio dall'illustre genitore. Citando nuovamente Amorth, Alfonso IV «dal padre aveva ereditato l'amore per l'arte, specie per la pittura, tanto che la Pinacoteca ebbe con lui un notevole incremento e al Bernini avrebbe voluto commissionare addirittura una superba statua equestre rappresentante il duca Francesco». A Pietro da Cortona, pittore e architetto tra i massimi esponenti del barocco italiano, egli affidò invece – scrive Rimondi – «la decorazione (poi non realizzata) di sei delle sette stanze dell'appartamento ducale di palazzo, con pitture che celebrassero la dinastia estense e le qualità del buon principe».
Solo la morte prematura impedì la realizzazione di tali progetti, cui Alfonso avrebbe voluto aggiungere anche quello dell'ampliamento della cerchia muraria, dal momento che la popolazione in aumento aveva oramai reso problematica la carenza di spazio entro il tessuto urbano. Più in generale, comunque, il giovane duca ebbe un occhio di riguardo per la cultura, «stipendiando generosamente – nota Rimondi – il filosofo e matematico Geminiano Montanari e sostenendo le ricerche astronomiche di Cornelio Malvasia».
La breve esperienza di Alfonso alla guida del ducato estense si concluse nel 1662, dopo nemmeno quattro anni di governo. Recatosi infatti a Firenze per assistere ai festeggiamenti per le nozze di Cosimo III de' Medici con Margherita Luisa d'Orléans, l'erede di Francesco I rientrò dal viaggio molto affaticato, o quantomeno più del solito. Soffriva infatti sin dalla prima gioventù di gotta, ed evidentemente in quella circostanza la malattia si aggravò. Ad essa si aggiunse un'infezione polmonare cui il duca non sopravvisse. Egli morì il 16 luglio, all'età di ventotto anni. Nel testamento lasciò alla moglie Laura la tutela dei due figli, Francesco (futuro duca, che tuttavia aveva da poco compiuto due anni) e Maria Beatrice (che sarebbe diventata, quale moglie di Giacomo II Stuart, regina d'Inghilterra). Sulla giovane duchessa (aveva appena 23 anni) ricaddero pertanto le responsabilità di governo. Come ha scritto Luigi Amorth, fu «il primo e unico caso di reggenza femminile nella storia del nostro ducato». Quale tutrice dell'erede Francesco II, Laura Martinozzi avrebbe governato fino al 1674.

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