martedì 16 aprile 2013

Francesco I d'Este: progetti, aspirazioni e velleità del più celebre duca modenese

(articolo apparso su Prima Pagina del 7 aprile 2013)

Quando nel 1629 colse l'eredità del padre Alfonso III d'Este – che aveva deciso di abdicare per vestire il saio da cappuccino – Francesco aveva soltanto 19 anni e probabilmente avrebbe desiderato un momento più favorevole per diventare sovrano. In Europa, infatti, imperversava dal 1618 la guerra dei Trent'anni, mentre ai confini del ducato, proprio in quel 1629, si facevano sempre più minacciose le armate imperiali, che avevano varcato le Alpi per assediare Mantova nell'ambito del violento conflitto che era sorto tra la Francia e gli Asburgo per la successione a Vincenzo II Gonzaga. Solo dietro versamento di un'ingente somma di denaro – raccolta con l'imposizione di nuove tasse – Francesco riuscì ad impedire che Rambaldo di Collalto, comandante imperiale, facesse alloggiare i suoi lanzichenecchi entro i confini del ducato estense, con tutti i rischi di saccheggio che ne sarebbero derivati.
Nonostante la giovane età, il duca mostrava quindi saldezza di carattere. Ma l'abilità di cui diede subito prova in politica estera non poté comunque risparmiare a Modena la terribile epidemia di peste del 1630, quella descritta dal Manzoni ne I promessi sposi. In poche settimane il contagio falcidiò la popolazione, che, secondo alcune stime, si ridusse da 10.000 a 6.000 unità.
Francesco trascorse il periodo dell'epidemia lontano dalla capitale (si era precauzionalmente trasferito nella villa di Rivalta, presso Reggio), non lesinando comunque aiuti alla popolazione in difficoltà. Rientrato a Modena una volta cessato il pericolo del contagio, portò avanti con energia una politica ambiziosa, finalizzata ad accrescere il prestigio internazionale del ducato estense. L'obiettivo principale era recuperare la vecchia capitale, ceduta nel 1598 dal duca Cesare a papa Clemente VIII. Alla perdita di Ferrara, infatti, Francesco non si rassegnò mai, al punto che «per ottenere la sua alleanza bastava fargli balenare la possibilità di recuperare la capitale dei suoi antenati» (R. Rimondi).
Sposatosi nel 1631 con Maria Farnese, figlia di Ranuccio I duca di Parma, Francesco promosse una politica volta ad elevare Modena al rango di grande capitale (per questo acquistò numerose opere d'arte, commissionò all'architetto romano Bartolomeo Avanzini il progetto di un nuovo palazzo ducale, fece erigere una cittadella pentagonale fortificata e investì ingenti somme per la costruzione di altri edifici, come il Teatro Ducale), cercando insistentemente, nella fase iniziale del suo regno, l'appoggio della Spagna, nei confronti della quale vantava peraltro numerosi crediti. Con spregiudicatezza, per compiacere la corte di Madrid non esitò neppure ad attaccare suo cognato Odoardo Farnese, schieratosi a favore della Francia.
Sempre al fine di rafforzare l'alleanza, dal 1629 al 1633 si trattenne nella capitale di Spagna un'ambasciata guidata dal conte Giambattista Ronchi, incaricata inoltre di fare pressioni per il versamento del denaro che spettava a Francesco (una Capitolazione del 1601 tra re Filippo III e Cesare d'Este prevedeva infatti che la Corona spagnola versasse 12.000 scudi l'anno nella casse modenesi; ma in trent'anni gli Este avevano maturato crediti per circa 375.000 ducati). I risultati, tuttavia, furono deludenti, anche perché la Spagna, prostrata dalla guerra dei Trent'anni, non poteva permettersi di fare troppe concessioni.
L'ambiguità della corte di Madrid emerse peraltro anche nella gestione della successione nel principato di Correggio. Il principe don Siro, infatti, era stato dichiarato decaduto dall'imperatore con l'accusa di falsificazione di monete, non essendo egli stato in grado di pagare la multa di 230.000 fiorini che gli era stata inflitta. La somma fu invece versata nel 1634 dalla Spagna, la quale, previo rimborso, cedette Correggio agli Estensi. Il successo del duca di Modena non fu però totale, dal momento che a don Maurizio, figlio di Siro, si volle concedere il diritto (sempre a patto che fosse sborsata la cifra della multa) di riscattare il principato, con l'intento evidente – ha scritto Rimondi – «di tenere una spada di Damocle sulla testa dell'irrequieto alleato estense». Il tutto si risolse solo nel 1649, grazie ad un favorevole accordo che Francesco riuscì a concludere con don Maurizio.
Anche se l'atteggiamento della Spagna destava qualche perplessità, nei primi dieci anni di governo Francesco gravitò costantemente entro l'orbita di Madrid. Il suo obiettivo, come dimostrò la neutralità osservata nei confronti della Lega di Rivoli (sorta nel 1635 tra il duca di Savoia, la Francia, i Farnese e il ducato di Mantova per contendere agli spagnoli la Lombardia), era con tutta evidenza quello di dar prova di lealtà per ottenere in cambio favori e considerazione. A questo scopo fu infatti inviato a Madrid il diplomatico di corte Fulvio Testi, una prima volta dal 1635 al 1636, e successivamente dal dicembre del 1637 fino al maggio del 1639. In questa seconda occasione lo stesso Francesco volle visitare la corte spagnola: accolto coi massimi onori, ricevette il titolo di Altezza Reale, quello di Ammiraglio dell'Atlantico (con conseguente pensione nominale di 24.000 scudi annui) e vari incarichi per altri membri della casata estense; ma non ottenne altro che vaghe promesse sul possibile recupero di Ferrara, questione che, in realtà, gli stava più a cuore di qualsiasi onorificenza.
Lo scoppio, nel 1641, della guerra di Castro (dominio semi-indipendente del ducato di Parma appetito dal pontefice), sembrò tuttavia offrire un'opportunità di ridiscutere l'assetto politico della penisola italiana. Insieme con Firenze e Venezia, Francesco non esitò a muovere contro il papa, ma dovette presto accorgersi che, più che a difendere Odoardo Farnese, i suoi alleati erano interessati a contenere le ambizioni estensi. «Sicché – ha scritto Luigi Amorth – si assisterà all'assurdo che, malgrado la loro superiorità, Venezia e Modena vedranno minacciato il loro territorio». E, per evitare pericolose sconfitte militari, fu necessario richiamare dalla Germania il generale Raimondo Montecuccoli, che respinse le truppe pontificie che avevano assediato Nonantola.
La pace firmata a Ferrara nel 1644, oltre a confermare l'assetto territoriale prebellico, sanciva l'importante ingresso – quale garante degli accordi – della Francia nel teatro politico italiano. Per Francesco fu l'occasione per stringere contatti col Mazzarino, sulla base di un progetto politico che, constatata l'inaffidabilità di una Spagna prodiga solo di promesse, prevedeva un graduale avvicinamento della casa d'Este alla corte di Parigi. L'esito delle trattative fu la comune partecipazione ad una campagna militare contro il dominio spagnolo di Milano, la quale tuttavia – tra attacchi, ritirate, disaccordi tra i comandanti e piogge torrenziali – non portò ad alcun risultato significativo, anche perché nel frattempo Mazzarino si trovò a dover affrontare la ben più urgente questione della Fronda. Il 27 febbraio 1649 fu dunque firmato un accordo in base al quale Francesco si impegnava a non stringere future alleanze antispagnole.
In quegli anni il duca estense pareva ossessionato dalla politica estera: «Passava – scrive Rimondi – dalle operazioni a fianco dei francesi ai tentativi di riconciliazione con la Spagna, e poi alle proposte di alleanza con Venezia nella guerra di Candia, il tutto in un crescendo inarrestabile di protagonismo che lo rendeva sordo agli inviti alla prudenza del fratello, il cardinale Rinaldo».
Rimasto vedovo, Francesco non trascurò nemmeno la politica matrimoniale, unendosi nel 1648 a Vittoria Farnese (sorella della defunta moglie) e nel 1654, dopo la morte di quest'ultima, a Lucrezia Barberini, pronipote di quel papa Urbano VIII che era stato a lungo suo nemico. Di fatto, si trattava del preludio ad un definitivo rovesciamento delle alleanze, che culminò – specie dopo l'attacco spagnolo a Reggio (1655), fallito per la tenace resistenza della città – nel matrimonio tra l'erede al trono estense, Alfonso, e la nipote del Mazzarino, Laura Martinozzi.
All'offensiva spagnola, che rompeva la tregua del 1649, le truppe modenesi e franco-piemontesi replicarono assediando Pavia, ma l'operazione fu un clamoroso insuccesso. L'anno seguente (1656), Francesco in persona si recò a Parigi per sollecitare aiuti, ricevendo il grado di comandante in capo delle truppe francesi in Italia e, come di consueto, onori e promesse.
Ripresa la guerra, il duca ottenne un immediato successo militare con la conquista di Valenza, ma dovette presto arrestare la sua avanzata a causa del mancato arrivo dei rinforzi francesi. Tra contatti diplomatici in tutte le direzioni e campagne mai decisive, il conflitto pareva in realtà in una fase di stallo, il che avrebbe favorito, di lì a due anni, la cessazione delle ostilità con la pace dei Pirenei. A quella data, tuttavia, Francesco non poté arrivare, stroncato il 14 ottobre 1658 da una forte febbre malarica mentre ancora era impegnato nelle operazioni belliche. Con lui morivano anche molte delle ambizioni politico-militari del ducato estense.

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