domenica 22 febbraio 2015

«Il libro nero della condizione dei cristiani nel mondo»: conoscere per comprendere il valore della testimonianza

(articolo apparso su Prima Pagina del 25 gennaio 2015)

«C’è una cosa che voglio mettere in chiaro: sono convinto che la persecuzione contro i cristiani oggi sia più forte che nei primi secoli della Chiesa. E non è una fantasia: lo dicono i numeri».
A usare queste precise parole non è stato, pochi mesi or sono, un opinionista qualsiasi, ma papa Francesco in persona, in un’intervista rilasciata al quotidiano di Barcellona «La Vanguardia» e integralmente riprodotta su «L’Osservatore Romano» lo scorso 13 giugno. Di questo intervento del pontefice, uno stralcio è citato in apertura di un significativo volume uscito da non molte settimane: Il libro nero della condizione dei cristiani nel mondo (Mondadori 2014), a cura di Jean-Michel di Falco, Timothy Radcliffe e Andrea Riccardi. Si tratta di una corposa miscellanea di saggi (circa una settantina) che raccoglie contributi di numerosi autori di diverse nazionalità e che intende tracciare un quadro il più possibile esaustivo delle persecuzioni che i cristiani stanno subendo in tutto il mondo. In questa sede, a livello introduttivo, prenderemo in esame l’intervento di John Allen (vaticanista americano del «Boston Globe»), che tenta di far luce  sulle cause che stanno all’origine di quella che egli considera una vera e propria «guerra globale».
Le prime riflessioni di Allen prendono spunto da un recente fatto di cronaca. Nel maggio dello scorso anno, Meriam Yahia Ibrahim Ishag, ventisettenne sudanese, è stata condannata a morte con l’accusa di apostasia dall’islam. Figlia di un musulmano che l’ha abbandonata quando era ancora una bambina, Meriam è stata cresciuta cristianamente dalla madre etiope e ha successivamente sposato un cristiano. Un tribunale islamico, tuttavia, ha stabilito che la giovane avrebbe avuto l’obbligo di professare la religione del padre e che la sua «conversione» (anche se Meriam è sempre stata esclusivamente cristiana) è da considerarsi illegale in base alla legge della sharia. Scrive Allen: «Le sono stati concessi tre giorni per abiurare la sua fede, ma si è rifiutata di farlo ed è stata rinchiusa nel carcere federale femminile di Omdurman, insieme al figlio Martin di venti mesi. Durante la prigionia ha dato alla luce una bambina. […] In teoria Meriam avrebbe dovuto essere punita con cento frustate subito dopo il parto per aver sposato un cristiano, e dopo due anni, in caso di mancata abiura del cristianesimo, con l’impiccagione per il reato di apostasia».
Fortunatamente il caso ha avuto enorme risonanza mediatica, e le pressioni internazionali a più livelli hanno infine portato alla scarcerazione di Meriam. Il punto però, rileva Allen, è che l’episodio non va considerato un dramma isolato ed eccezionale – cosa che invece molti sono indotti a credere –, bensì come il prodotto di una «guerra globale contro i cristiani» che tende inspiegabilmente a passare sotto silenzio.
Alcuni dati statistici aiutano a chiarire la tesi del vaticanista del «Boston Globe».
– A Baghdad, delle 65 chiese cristiane presenti, circa 40 sono state bombardate almeno una volta dal 2003 (anno di inizio della cosiddetta Seconda guerra del Golfo). Più in generale, per quanto concerne l’Iraq, all’epoca della Prima guerra del Golfo (1991) la comunità cristiana era composta da almeno 1,5 milioni di persone; oggi si calcola che il numero sia sceso a 500.000 unità (o addirittura a 150.000 secondo stime ritenute più realistiche).
– Nello Stato di Orissa (India nordorientale), nel 2008 una serie di sommosse è terminata con l’uccisione di 500 cristiani (molti dei quali massacrati a colpi di machete da fondamentalisti indù), il ferimento di altre migliaia e la distruzione di 5000 abitazioni e 350 fra chiese e scuole.
– In Birmania (paese a netta maggioranza buddista), i gruppi etnici chin e karen (di fede cristiana) sono considerati dissidenti dal regime e tenacemente perseguitati mediante intimidazioni continue, arresti, condanne a lavori forzati e uccisioni.
– In Nigeria, il movimento islamico Boko Haram ha da anni preso di mira la popolazione cristiana, ed è ritenuto responsabile della morte di quasi 3000 persone dal 2009. I suoi seguaci dichiarano apertamente di voler estirpare la presenza cristiana da alcune aree del paese.
– In Corea del Nord, si stima che circa un quarto della popolazione cristiana (tra le 20 e le 40.000 persone) sia rinchiuso in campi di lavoro per essersi rifiutato di aderire al culto di Kim Il-sung. Secondo altri conteggi, a partire dal 1953 (anno dell’armistizio che consolidò la divisione della penisola coreana) circa 300.000 cristiani sono spariti nel nulla, presumibilmente morti.
I dati qui riportati offrono solo una panoramica parziale delle persecuzioni che i cristiani subiscono in tutto il mondo. Basti aggiungere, infatti, che secondo alcuni recenti calcoli il totale dei morti cristiani in un anno si aggira intorno alle 7000 unità e che nel 2012 il Pew Forum on Religion and Public Life di Washington DC ha stimato che i cristiani sono soggetti a varie forme di vessazione in ben 139 paesi, ovvero in quasi tre quarti delle società del pianeta.
Resta a questo punto da chiedersi: perché proprio i cristiani? L’opinione più diffusa tiene conto sostanzialmente del conflitto sempre più aspro tra fede e secolarismo e del cosiddetto «scontro di civiltà», che contrappone la cristianità all’islam radicale. Ma occorre tenere presenti soprattutto quattro fattori fondamentali, che a parere degli esperti di discriminazione religiosa rivestono un ruolo decisivo:
– Il numero. Molto banalmente, i cristiani sono i più perseguitati perché decisamente più numerosi dei seguaci di altre religioni (nel 2014, i cristiani sono circa 2,3 miliardi, seguiti dai musulmani, che ammontano a 1,7 miliardi).
– Le zone di crescita. Il cristianesimo, infatti, è in ascesa in molte regioni che si trovano fuori dall’Occidente, nelle quali la sua espansione è percepita come una minaccia (è il caso, per esempio, della Cina, dove lo Stato è retto da un partito unico ed è ufficialmente ateo).
– Le etnie. In molte parti del mondo i cristiani costituiscono allo stesso tempo una minoranza religiosa ed etnica, con tutti i rischi che questa condizione comporta. Il caso dei gruppi chin e karen in Birmania è un esempio di come l’emarginazione possa rapidamente tramutarsi in persecuzione.
– L’identificazione con l’Occidente. È forse la causa principale. In molti paesi, infatti, l’equazione cristiano = filo-europeo o filo-americano alimenta l’odio verso una religione considerata ostile in quanto espressione di una cultura nemica. È il caso, ad esempio, dell’Iraq, dove – sottolinea Allen – «i fondamentalisti islamici talvolta hanno visto le Chiese cristiane come teste di ponte per l’influenza “crociata”, sebbene la cristianità in Iraq, in realtà, abbia radici storiche molto più profonde dell’islam».
Ultima questione, che resta sempre un po’ in sospeso, è quella relativa al silenzio che circonda le persecuzioni dei cristiani nel mondo. Perché se ne parla così poco, soprattutto entro i confini del cosiddetto Occidente? Allen prende in esame diversi fattori, ma due in particolare risultano decisivi: l’evidente ostilità nei confronti della religione (essa stessa considerata portatrice di intolleranza, tanto che molti laici tendono ad associare al cristianesimo concetti quali repressione – basti pensare all’Inquisizione o alle Crociate –, conservatorismo e ottusità) e la diffusa indifferenza rispetto a problematiche che paiono lontane, troppo distanti emotivamente oppure difficilmente svincolabili dall’immagine di singoli casi (come quello di Meriam) che inevitabilmente finiscono per essere considerati eccezionali. «I nuovi martiri – scrive al riguardo Allen – spesso vanno incontro alla morte in luoghi come Sri Lanka, Maldive e Sudan, che molti occidentali faticherebbero a individuare sulla carta geografica […]. La guerra contro i cristiani, inoltre, è incredibilmente complessa e difficile da interpretare. Non esiste un rimedio semplice, come lo è stato disinvestire dalle azioni sudafricane durante il regime dell’apartheid […]. Ogni situazione deve essere analizzata singolarmente; ciò che potrebbe funzionare per contrastare l’estremismo buddista in Bangladesh rischierebbe di non essere adatto per lottare contro i narcoterroristi in Colombia».
Occorre dunque prendere coscienza dell’esistenza di una vera e propria guerra globale che provoca la morte di migliaia di cristiani ogni anno. Non è tollerabile, infatti, che una società come la nostra non sia informata su uno sterminio di queste proporzioni, anche perché è del tutto evidente – e il caso di Meriam lo dimostra – che il primo passo da compiere per trovare una soluzione ai problemi è conoscerli. Sapere che in diverse aree del pianeta ci sono moltissimi martiri che sacrificano la propria vita in nome della fede vorrà pur dire qualcosa in un mondo che sembra aver perso ogni valore e pare chiudersi sempre più in se stesso! Si ricordi, del resto, che la parola martire significa testimone: e i testimoni necessitano di orecchie disposte ad ascoltare.

Appuntamento ogni domenica su Prima Pagina con la rubrica Cose d'altri tempi

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